Verona, Bacciga: "E se fosse stato un errore?"

Oggi, l’8 settembre 1943, non tutti tradirono la Patria.

del Consigliere Comunale di Verona, Avv. Andrea Bacciga
Presso piazza Viviani è sita una targa commemorativa della battaglia nel Palazzo delle Poste che sarebbe avvenuta il 9 settembre 1943.
In data 9.10.2000 il giornale “L’Arena” di Verona riportava una lettera del giornalista Sergio Stancanelli , riferendo che “la cosiddetta battaglia nel Palazzo delle Poste alla quale avrebbero preso parte 50 giovani…non ebbe mai luogo” ed “è frutto di pura fantasia”
Il sig. Stancanelli aveva scritto che: “ il motivo per cui di loro non si conoscevano non solo le generalità, ma neppure si sapeva dove fossero finiti i cadaveri , risiedeva nel fatto che il combattimento non era mai avvenuto e che i sei eroi non erano mai esistiti”
Per tale motivo fu querelato Stancanelli per diffamazione, ma fu assolto con la formula di “non luogo a procedere”, con sentenza emessa il 6 maggio 2004 dal Tribunale di Verona, e le spese del procedimento furono assunte dalla persona offesa
Lo stesso Stancanelli scriveva: “al convenuto si unirono spontaneamente varie testimonianze di persone che attestarono come quel giorno nella piazza delle Poste non fosse accaduto assolutamente nulla. Fra le tante voglio menzionare quella di un collega che all’epoca ragazzino faceva il fattorino presso uno studio legale e che quel giorno incaricato di spedire delle raccomandate,si recò alla posta centrale, dove, testimoniò, tutto era tranquillo e gli uffici funzionavano regolarmente”.
Lo Scrivente Consigliere in data 3 settembre 2018 ha fatto richiesta di accesso agli atti alla Segreteria del Consiglio chiedendo visione e copia di tutta la documentazione inerente tale targa.
Ricevendo tuttavia riscontro negativo, ovvero che non vi è alcuna documentazione nei seguenti uffici: manifestazioni, edilizia monumentale civile ed impiantistica, servizio ai cittadini.
Quest’oggi ho depositato interrogazione scritta chiedendo all’Assessore competente, delucidazioni in merito.
Scusate, ma se fosse stato un sbaglio, e si scoprisse che non vi è mai stata alcuna battaglia del Palazzo delle Poste e mai alcun decesso di “sei ignoti“ ,
in assenza di prove storiche certe dimostranti tale evento, non sarebbe forse lecito rimuovere tale targa?

Verona 6 settembre 2018
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A Praga i cari amati sovietici

QUINTA COLONNA
di Marcello Veneziani
Come oggi, nella notte tra il 20 e il 21 agosto di cinquant’anni fa, i carri armati sovietici invadevano la Cecoslovacchia e stroncavano il sogno di libertà della primavera di Praga. Ne parleranno adeguatamente in tv e nei giornali? Ricorderanno anche questo versante in ombra del ’68? Ricorderanno l’infamia di chi li difese e si schierò dalla loro parte, come fecero i comunisti italiani? O diranno che ormai è passato troppo tempo, e dunque si può parlare ogni giorno di fascismo e nazismo, morti 73 anni fa, ma non si può più parlare di comunismo, che è ben più recente e presente?
Va ricordato poi che una parte dei comunisti italiani si dissociò dal Pci e condannò l’invasione russa, come fece il gruppo del Manifesto. Ma con un piccolo particolare: non dissentirono per abbracciare il socialismo dal volto umano ma per inseguire un socialismo ben più disumano, quello cinese, con Mao che con la sua rivoluzione culturale fu assai più sanguinario di Stalin e di Brezhnev. In un dibattito in un salone della Camera aperto da Napolitano, qualche anno fa ricordai l’omertà del Pci sulla rivolta, il disprezzo verso gli insorti e il silenzio del partito e de L’Unità sui dissidenti, come Jiri Pelikan, che fu poi “adottato” dal Psi di Craxi. Fassino mi fece notare che, al contrario, il Pci aveva sostenuto il premier Dubcek e il socialismo dal volto umano. Certo, fino a quando Dubcek fu al potere, tollerato dall’Unione Sovietica… Ma dopo, quando arrivarono i carri armati, e ci fu la rivolta, calò l’imbarazzato silenzio e prevalse la tesi ortodossa, sostenuta proprio dalla destra comunista di Amendola e Napolitano, che chi solidarizza con gli insorti fa il gioco della solita reazione in agguato. I comunisti italiani si allinearono ai sovietici, come a Budapest prima, nel ’56, e a Danzica e Stettino dopo, nel ’70. Non dobbiamo del resto dimenticare che fino al ’78 i finanziamenti al Pci e all’Unità continuavo a provenire dall’Urss, e continuavano ad arrivare i contributi dell’Associazione italo-cecoslovacca. Fu così che nel ’68, i carri armati sovietici persero qualche erre e per i comunisti nostrani restarono i cari amati sovietici… Continua a leggere

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L'ultimo incursore

L'ULTIMO INCURSORE.

L’ULTIMO INCURSORE.

Addio all’incursore Emilio Bianchi, 103 anni, ultimo superstite dell’impresa di Alessandria https://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/addio_incursore_emilio_bianchi_103_anni_superstite_impresa_alessandria_durand_de_la_penne-1196188.html Winston Churchill, come ha ricordato di recente il Times in uno dei suoi commoventi obit, fu talmente impressionato da quell’impresa del nemico italiano nel porto di Alessandria che ordinò ai vertici della Marina di sua Maestà di adottare al più presto tecniche e strategie degli avversari tra i …
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Ponti fascisti opere d'arte resistenti a tutto

Ponti fascisti opere d'arte resistenti a tuttoEsempi di ingegneria e architettura che nemmeno l’Antifascismo butta giù

di Angela Di Pietro
Quando c’era Lui non solo i treni arrivavano in orario, ma i ponti non venivano mai giù ed ancor oggi resistono a tutto, anche all’Antifascismo due punto zero, all’incuria, all’assenza di manutenzione. Per i ponti costruiti in Italia nel ventennio fascista, su progettazione di insigni professionisti dell’epoca, era frequentemente utilizzato il toponimo “littorio”, o “del littorio”. Chiuso il conflitto bellico e con l’istituzione della Repubblica, nel 1946, i viadotti persero la denominazione “Littoria” e cambiarono nome (non faccia). Tutti quanti. Erano fatti bene, erano resistenti, ma sono stati destinati all’oblìo perché legati alla figura del duce.
Uno dei più importanti è senza ombra di dubbio il ponte littorio di Venezia, oggi noto come “ponte della Libertà”. A capo dei lavori di progettazione c’era l’ingegnere bresciano Eugenio Giuseppe Miozzi, esempio di onestà e capacità, che non ha neanche una via intestata perché uomini come lui sono considerati “da dimenticare”, come Mussolini.  Il lavoro più importante che gli fu affidato fu quello del ponte littorio (oggi ponte della Libertà) che collega automobilisticamente Venezia con la terraferma. Un’autostrada sull’acqua. La costruzione, larga 22 metri, fu realizzata in cemento armato e pietra, dalla “Ferrobeton” con grande rapidità, in soli 18 mesi. Il ponte fu inaugurato nel 1933 con il nome di “ponte Littorio” da Umberto II di Savoia insieme alla consorte Maria José del Belgio, presente anche Benito Mussolini. Ancora in Veneto”, nel comune di Verona, c’è il “ponte della Vittoria.  Era il 1925 quando…

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Antifascismo ed ecomostri: chi era Riccardo Morandi, il progettista del ponte di Genova

Risultati immagini per riccardo morandidi Nicola Mattei
Genova, 15 ago – Cosa unisce il serpentone del Corviale a Roma, tentativo iniziato male e finito peggio di costruire in stile sovietico un “casermone” di edilizia residenziale pubblica al ponte sul Polcevera crollato ieri? Un nome, quello dell’ingegner Riccardo Morandi.
Nato a Roma nel 1902, comincia la sua attività negli anni ’30 sperimentando – fra i primi in Italia – l’utilizzo del cemento armato e del cemento armato precompresso. Agli albori della carriera progetta chiese e cinema, per poi specializzarsi sulla realizzazione di ponti.
Le competenze in materia di cemento armato gli valgono la chiamata nel squadra che progetterà e realizzerà il Corviale, dove Morandi affiancherà l’architetto Mario Fiorentino. Il risultato è drammatico: quasi un chilometro (e 11 piani in altezza) di vera e propria città dormitorio alle porte della capitale dove il boom edilizio di quegli anni crea ecomostri destinati a durare e a produrre effetti devastanti. L’ingegneria sociale applicata si risolverà in un fallimento, riuscendo a replicare in peggio tutte le storture importate dalla pianificazione totale e totalitaria che veniva sperimentata nello stesso periodo in Unione Sovietica.
Un aspetto di natura ideologica, quest’ultimo, che non può essere trascurato. Siamo nell’Italia del conflitto (anche armato), in cui restare inermi rispetto alla contrapposizione politica è pressoché impossibile. E Morandi la sua scelta l’aveva fatta: “I suoi familiari – scrive Repubblica nell’occasione della morte, er il 25 dicembre del 1989 – lo ricordano come un uomo che ha tenuto sempre a difendere la sua indipendenza da tutti i poteri, a cominciare da quello fascista di cui fu un oppositore”.
Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/antifascismo-ecomostri-chi-era-riccardo-morandi-91330/ Continua a leggere

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La legge anti-caporalato? La fece il fascismo nel 1926. E la abolì Badoglio

La legge anti-caporalato? La fece il fascismo nel 1926. E la abolì Badogliodi Antonio Pannullo

Il “caporale” è la figura di intermediatore illegale tra latifondista e manodopera non specializzata. È una piaga presente da sempre, e in Italia si è saldata con la criminalità organizzata, soprattutto nel centrosud. La parola “caporalato” è tornata in questi giorni sotto i riflettori a causa degli incidenti che hanno visto coinvolti lavoratori stagionali stranieri in Puglia, ma è un male antico, un male “liberale”. Nel 2016 la Camera approvò la cosiddetta legge anti-caporalato, che però evidentemente non ha avuto effetto sul fenomeno, probabilmente a causa degli scarsi controlli da parte delle autorità. La rivista e blog Italia coloniale però, diretta da Alberto Alpozzi, ci ricorda che il caporalato fu combattuto e sconfitto, come la mafia del resto, dal fascismo, che nel 1926 varò la legge 563, detta “legge sindacale”, perfezionata e modificata fino al 1938 con altre norme tese a “contemperare secondo equità gli interessi dei datori di lavoro con quelli dei lavoratori tutelando, in ogni caso, gli interessi superiori della produzione”. Italia coloniale, nel pezzo a firma Maria Giovanna Depalma, ricorda anche che queste rivoluzionarie normative, inserite nel Codice corporativo e del lavoro fascista, valevano oltre che in Italia anche nelle colonie, cosa che contribuì ad abolire nell’Africa italiana la schiavitù e la servitù della gleba, fiorenti fino alla conquista da parte dell’Italia dell’Africa orientale.

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Salvini cita Lui: "Molti nemici, molto onore". Ma la frase non è del Duce…

Salvini cita Lui: “Molti nemici, molto onore”. Ma la frase non è del Duce…di Antonio Pannullo
Adesso chissà quante glie ne diranno a Salvini: “Tanti nemici, tanto onore!”. Lo scrive il vicepremier Salvini, su Facebook, postando un articolo di stampa che riporta notizia dei vari attacchi al ministro dell’Interno, negli scorsi giorni, dai settori cattolici a quelli della sinistra. In realtà il motto di Mussolini non era “tanti nemici”, ma “molti nemici”, tuttavia il senso è quello.
E inoltre non è neanche la prima volta che Salvini utilizza questa frase, he poi è una frase di di semplice buon senso: il leader della Lega la utilizzò almeno un’altra volta, nel febbraio 2015, riferendosi alle critiche dei buonisti su di lui che sottolineava che c’erano italiani in povertà mentre lo Stato pagava gli alberghi ai clandestini. La frase, essendo di sicura efficacia, è stata utilizzata da molte persone, ed è erroneamente attribuita a Giulio Cesare, come molti altri motti del Duce. Ma non è neanche sua. Questa bella frase è quasi certamente stata inventata da un uomo che di nemici nella sua vita ne ebbe davvero tanti: il condottiero tedesco Georg von Frundsberg (1473-1528), ovviamente sconosciuto in Italia. Era un generale del Sacro Romano Impero della nazione tedesca che combatté per la casata Asburgo, e in particolare per l’imperatore Massimiliano I. Tutta la vita Georg la trascorse combattendo quasi ininterrottamente per gli Asburgo, soprattutto in Italia. Sembra che proprio a Vicenza, combattendo contro i veneziani nella battaglia di La Motta, veneziani che erano in numero soverchiante, il condottiero disse al suo servo che gli aveva fatto notare la sproporzione: “molti nemici di von Frundsberg, molto onore!”. Era il 1513.
Oggi c’è una statua in suo onore al Museo militare di Vienna, voluta da Francesco Giuseppe, e durante la Seconda Guerra Mondiale una divisione Waffen SS ebbe il permesso di fregiarsi del titolo di Frundsberg. Il condottiero tedesco è stato dimenticato, ma la frase è rimasta, così come sono rimaste e sono state utilizzate le frasi inventate dagli Arditi durante la Grande Guerra, motti ripresi da Mussolini e rilanciati per la loro validità e per il messaggio di cui erano portatori. Tra queste, “Chi si ferma è perduto”, “Meglio un giorno da leone che cento anni da pecora”, etc. Insomma, le frasi, i motti, gli slogan si direbbe oggi, raramente appartengono alla persona che li ha resi famosi, ma il merito di Mussolini e di altri leader è certamente quello che di aver valorizzato quei concetti che toccano le corde emotive dell’uomo e che in definitiva sono valori eterni. Tornando a Salvini, siamo pronti a scommettere che la bufera per il suo utilizzo di certe espressioni continuerà. Ma scommettiamo anche che Salvini, per rimanere nella metafora, “se ne frega”.
P.S: anche questo era un motto degli Arditi della Grande Guerra…
Fonte: http://www.secoloditalia.it/2018/07/salvini-cita-lui-molti-nemici-molto-onore-ma-la-frase-non-e-del-duce/ Continua a leggere

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Furono i francesi ad uccidere Enrico Mattei

di Maurizio Blondet

RICORDIAMO, FURONO I FRANCESI AD UCCIDERE ENRICO MATTEI

RICORDIAMO, FURONO I FRANCESI AD UCCIDERE ENRICO MATTEI

Nell’attuale  campagna di odio  lanciata  da Macron contro i nostri governanti, mi ha preoccupato questo titolo  su Dagospia, che riporta un articolo de Il Messaggero: TIM ACCUSA LA COMPAGNIA LOW COST FRANCESE, ARRIVATA IN ITALIA CON UN’OFFERTA ULTRA COMPETITIVA: “ILIAD VIOLA LE LEGGI ANTITERRORISMO”.  SECONDO GENISH IL MECCANISMO DI ATTIVAZIONE DELLE SIM NON PREVEDE IL RICONOSCIMENTO DIRETTO DEL TITOLARE, CHE …
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