Tempora et mores

Segnalazione di Radioromalibera.org 
di Lorenzo Benedetti
Trento, dicembre 1545: si apre, nella solenne cornice della cattedrale di san Vigilio, il diciannovesimo Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, destinato a divenire un caposaldo nella storia del mondo e a definire con chiarezza e rigore aspetti dottrinali, teologici, disciplinari, gerarchici all’alba dell’Età moderna. L’assemblea dei vescovi, convocata da Paolo III e riunitasi per quasi vent’anni, definì la teoria della giustificazione, ribadì la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, creò i seminari, condannò le tesi eretiche dei riformati, regolò i Sacramenti istituiti da Gesù stesso come insegna la Tradizione: un momento epocale nella vicenda del Cristianesimo, che vide convergere proprio in Trentino le menti più illuminate del tempo «a lode e gloria di Dio, ad accrescimento della fede e religione cristiana», come scrisse Joseph Hergenröther.
Trento ed il suo territorio sono da sempre stati un crocevia di uomini, eserciti, culture, idee, ma la regione ha incessantemente mantenuto integre le proprie tradizioni e la propria identità: per questo fu scelta, ad esempio, come sede del concilio deputato a ricomporre lo scisma luterano, in virtù della posizione intermedia tra l’Italia e la Mitteleuropa, centro equidistante dai Paesi coinvolti nell’assise, nonché per la sua provata fedeltà al papato. Continua a leggere

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Le vittime dei vincitori. I conti della storia

di Umberto Bianchi
Le vittime dei vincitori. I conti della storia
Fonte: Ereticamente
In Italia è oramai divenuta prassi ordinaria, di fronte a tutte quelle tensioni e fibrillazioni politiche che rischiano di mettere in pericolo l’establishment, tirare fuori da un impolverato cilindro, lo spelacchiato coniglio di un vittimismo antifascista “ad usum delphini”. I coribanti del “politically correct” con il loro agitarsi e strillare, sembrano, però, essersi lasciati lungo la strada un qualcosa di macroscopico. Nel lungo fluire delle umane vicende, se qualcuno non se ne sia ancora accorto, a far la Storia non è mai, o quasi, un solo e monotematico attore, ma, più e più parti, contornate da una serie di elementi e contesti, di cui bisognerebbe ben tener conto, prima di vomitare banalità, falsità e distorsioni che, statene pur certi, oltre a non aiutare ad avere un quadro chiaro ed esauriente del tutto, finiscono, invece, con il fare il giuoco dell’establishment dei vari poteri costituiti, a cui tutto interessa, meno che vari  popoli abbiano una chiara coscienza storica, in grado di fornir loro una guida per il presente ed il futuro.
E così è con le vicende dell’ultimo conflitto mondiale. S. Anna di Stazzema ha sicuramente rappresentato un tremendo ed esecrabile episodio, al pari delle terribili vicissitudini di Auschwitz. Nessuno però, sembra volersi interessare alle “altre” vittime. A quelle, tanto per parlar chiaro, dei democraticissimi vincitori anglo americani e compagnia bella. Ora, a voler proprio essere fiscali, se è vero quel che i vari storici vanno affermando sul numero di sei e più milioni di morti, causati dal Nazismo, tra deportati di religione israelita ed altri gruppi, oltre alle vittime civili causate dalle azioni belliche, rappresaglia e compagnia varia, è altrettanto vero, però, che, tanto per fare un piccolo esempio, Stalin di morti “civili” ne provocò approssimativamente una quarantina di milioni, deportando e sterminando amorevolmente i “kulaki” (ovverosia quei piccoli proprietari agrari che mal vedevano l’opera di collettivizzazione forzosa da quest’ultimo intrapresa a loro danno, senza se e senza ma…sic!), oltre a Cosacchi, Ucraini, Ceceni, Lituani, Estoni, Lettoni, Polacchi, Mongoli, senza poi contare la simpaticissima pratica delle periodiche “purghe” a cui il buon “Baffone” sottoponeva i propri sottoposti, oltre agli stessi militari dell’Armata Rossa, che in pieno conflitto, oltre a dover sopportare il tremendo urto delle truppe dell’Asse, tra purghe e purghette,  finì con il ritrovarsi, varie volte, sull’orlo di una catastrofica sconfitta, proprio a causa del perseverare di questa pratica. Continua a leggere

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L'esodo giuliano-dalmata: "Volevano farci perdere l'identità italiana"

Alla fine della Seconda guerra mondiale oltre 300mila italiani abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia scappano dalle loro terre per sfuggire alla violenza dei partigiani del maresciallo Tito
di  
“Ogni volta che chiudo gli occhi, vado a dormire a casa mia”. Anita Derin fissa le fotografie dalle sua infanzia e, con la voce rotta dall’emozione, racconta il suo esodo.
Aveva 12 anni quando è stata costretta a lasciare la sua città, Capodistria, per sfuggire alla violenza dei partigiani del maresciallo Tito. “Sono arrivati gli slavi, hanno incominciato a uccidere“, spiega Anita. “Lì era diventato pericoloso. Non abbiamo potuto fare altro che scappare”.
“I militari hanno occupato la mia casa, mangiato il mio cavallo. Diverse volte sono stata imprigionata: o perché avevo un bel vestito, o perché andavo in giro a fare fotografie con la mia Vogtlander”. Anita oggi ha 83 anni, abita a Trieste e nel cuore porta i ricordi di tutta la sua infanzia (guarda il video). Continua a leggere

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La memoria infoibata: i crimini comunisti a Isola d’Istria

Segnalazione del Centro Studi Federici

Elenco degli scomparsi da Isola d’Istria dal 1943 al 1945 
 
(…) Negli appunti che Luigi Drioli, mio padre, ha lasciato per ricordare le nefandezze di quei tristi giorni compare una lista di persone che sono state arrestate e torturate dai titini e delle quali non si è mai saputo con certezza la loro fine. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che non avevano responsabilità specifiche e a loro carico non c’erano accuse: alcune svolgevano il lavoro di guardie municipali, di dipendenti comunali, di operai, di sindacalisti, di vigili del fuoco, e tanti provenivano da varie parti d’Italia ed erano comandati a svolgere il loro lavoro a Isola d’Istria nelle varie amministrazioni. Alcuni arresti, con le loro tragiche conseguenze, sono anche avvenuti a guerra finita, in tempo di pace, senza alcuna giustificazione. Penso che la lista sia incompleta e porti qualche inesattezza, ma purtroppo sono trascorsi troppi anni e non sono riuscita a rintracciare persone presenti in quell’epoca. Parecchi dati e alcuni nomi li ho aggiunti dopo varie ricerche effettuate (…). Vittorina (Grazia) Drioli.
 
Attilio Benvenuti detto Furia
Nato il 28 agosto 1899. Arrestato a Trieste il 7 maggio 1945 in piazza Venezia. Tradotto al carcere dei Gesuiti. Trasferito a Isola d’Istria e Capodistria. Poi scomparso.
Sul sito www.isfida.it si legge: BENVENUTI Attilio (detto Furia) fu Almerigo e fu Anna Paoli, nato a Isola d’Istria il 28-9-1899. Arrestato a Trieste piazza Venezia il 5-5-1945 e deportato per ignota destinazione. Notizie fornite dalla moglie Ada Mossut abitante a Trieste in via Vercellio n.9 presso Borsatti. 

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10 Febbraio: la Verità non può essere infoibata

Risultati immagini per la memoria non si infoibaDOMANI, SABATO 10 FEBBRAIO GIORNATA DEL RICORDO DELLE VITTIME DELLE FOIBE
segnalazione del Centro Studi Federici

Il silenzio vigliacco sui 50 preti e frati massacrati dai partigiani comunisti nelle foibe: queste vittime non interessano ai professionisti della memoria, forse perché erano al servizio della Chiesa Cattolica e non della Sinagoga.
 
I sacerdoti massacrati nelle foibe
Fra le molte e molte migliaia di assassinati nelle foibe vi furono almeno 50 sacerdoti. Ranieri Ponis ha dedicato alla vicenda una monografia, intitolata “Storie di preti dell’Istria uccisi per cancellare la loro fede”, pubblicata dalla Litografia Zenit.
Gli invasori slavi difatti cercarono di colpire anzitutto coloro che erano a vario modo parte della classe dirigente italiana o comunque punti di riferimento e di aggregazione, quali gli intellettuali, i politici, gli imprenditori, gli insegnanti, gli ecclesiastici.
L’odio nei confronti di questi ultimi derivava anche dalle convinzioni ideologiche dei partigiani jugoslavi, essendo Tito all’epoca stretto alleato di Stalin.
Dopo il totale annullamento di ogni organo civile e militare italiano in Venezia Giulia e Dalmazia, erano rimasti sul posto soltanto vescovi e sacerdoti in grado di rappresentare la popolazione italiana, la quale era solitamente molto religiosa.
È indubbio che, fra le cause che indussero all’Esodo gli Italiani della Venezia Giulia, un ruolo importante lo abbia svolto la persecuzione religiosa, che fu portata avanti anche con il preciso intento di spingere gli Italiani ad andarsene.

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Febbraio 1945: i 30 frati massacrati dai comunisti in Bosnia

Segnalazione del Centro Studi Federici

Bosnia Erzegovina: i 30 martiri di Široki Brijeg nel ricordo di Fr. Jozo Zovko
 
Durante la dominazione turca della Bosnia-Erzegovina, dodici francescani originari dell’Erzegovina e provenienti da Kresevo in Bosnia, decisero di costruire un monastero nella loro terra d’origine, come segno della fede, e scelsero la località di Široki Brijeg. Si sistemarono in questo piccolo villaggio e, dopo aver comprato a caro prezzo un grande appezzamento di terreno, iniziarono a costruire la chiesa dedicandola alla Madonna Assunta in Cielo. Subito iniziarono anche i lavori per edificare il monastero e successivamente un edificio da adibire a seminario.
Nelle vicinanze edificarono un centro scolastico che comprendeva anche una scuola ginnasiale ove i frati insegnavano alle giovani generazioni della Bosnia-Erzegovina. Venne pure costruita una casa per tutti quelli che venivano da lontano per frequentare la scuola. Così il luogo divenne un centro culturale cristiano ed il santuario si trasformò in un simbolo per l’Erzegovina. Esattamente cento anni dopo il monastero veniva distrutto e devastato.
E’ successo così: il 7 febbraio 1945, i partigiani comunisti decisero di distruggere dalle fondamenta il simbolo cristiano e sradicare dal cuore del popolo la fede cattolica e la benevolenza e la riconoscenza verso i frati francescani.

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Le false libertà del '68

di Marcello Veneziani
Le false libertà del '68
Fonte: In Terris
l 1968 non è una data come tante. È come una lapide fissata sul percorso della storia. Che sancisce un prima e un dopo. Ma una lapide significa anche altro. È una pietra tombale su un mondo, su una serie di valori e di costumi, di linguaggi e di sistemi, messi in discussione e in parte estirpati dal vortice rivoluzionario innescato da un irrefrenabile impulso di contestazione verso tutto ciò che rappresentava autorità, disciplina, identità.
In Terris ha intervistato sul tema lo scrittore e filosofo Marcello Veneziani, che dieci anni fa diede alle stampe un libro dall’eloquente titolo “Rovesciare il ‘68” (ed. Mondadori).
Su quale forma di libertà si poggiava ideologicamente il ’68?
“La libertà assume nel ’68 il significato globale di liberazione. Liberazione del soggetto, della sessualità repressa, dei popoli oppressi, degli istinti e degli impulsi incatenati. Liberazione dallo Stato e dalla Norma, dalla Famiglia e dai suoi obblighi e rituali, liberazione dai vincoli di ogni tipo, elogio dell’infedeltà e del camaleontismo come mutazione permanente. È la passione per l’illimitato, la libertà come vietato vietare, come desiderio di creazione e di autocreazione permanente, senza alcun confine. Ma dietro la promessa della liberazione da tutto, dietro la marcusiana denuncia della tolleranza repressiva (proprio quel Marcuse che aveva scritto un saggio sulla liberazione), si celava nel ’68 anche il suo rovescio arrogante, l’intolleranza permissiva; ovvero permissivismo estremo ma guai a chi non accetta il nuovo comandamento della liberazione e della contestazione. Quel fondo di intolleranza dette vita poi all’estremismo politico, alla violenza del radicalismo, alla giustificazione di regimi come quello di Mao e di Pol Pot, che nel nome della rivoluzione culturale e della liberazione da ogni passato, compirono stermini che nemmeno Hitler e Stalin insieme hanno compiuto”. Continua a leggere

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La Lega dei senza Dio

Segnalazione Arianna Editrice
di Raffaele Panico
La Lega dei senza Dio
Fonte: Arianna editrice
La nuova Russia, anni Novanta. A Mosca, a seguito dei cambiamenti, documenti inediti vengono alla luce, dopo oltre 70 anni di silenzio. Documenti che risalgono ai momenti culminanti della persecuzione antireligiosa. Non i soliti documenti scritti, ma anche filmati d’epoca con impressionanti immagini raccapriccianti. Osserviamo, a ritroso, la storia della “Setta dei Castrati di Kiev”, come questa venne smantellata nel 1920 grazie alle nuove leve bolsceviche al potere. Un filmato è rimasto a lungo inedito. Grazie al ricercatore Marco Dolcetta, saggista scrittore regista italiano, insegnante alla Sorbona a Parigi “Storia delle religioni”, abbiamo un’idea di come fosse intensa e dissacrante l’attività di propaganda del nuovo regime instaurato nel 1917 da Lenin sulla questione religiosa. Il film venne girato grazie allo zelo della sezione antireligiosa del ministero dell’Interno del regime sovietico che, dal 1920, avrebbe dato vita, poi, alla cosiddetta Lega dei Senza Dio militanti, un’istituzione apparentemente autonoma la cui missione era sradicare il sentimento religioso nella popolazione russa. Girato in Ucraina, ex Unione Sovietica, è il resoconto documentario sebbene “farcito” di finzione, sulle attività di una comunità agricola-religiosa cristiana ortodossa. Le scene del filmato evidenziano le mutilazioni auto-inflittesi sul corpo dai credenti per mortificare la carne e non dare spazio ai desideri, agli appetiti fisici carnali. Il dilemma sessuofobico delle religioni. La propaganda bolscevica mette a nudo il genere di vita che si svolgeva nelle chiese. Nel filmato si vedono ballare gli adepti della “Setta dei Castrati di Kiev”: degli invasati, posseduti come nella tradizione del voodoo e nelle estasi dei dervisci del sud della Turchia. Allo stesso modo ballavano i Klisty la setta religiosa cui faceva parte anche Rasputin. Altre stranezze: i bambini messi nel forno, religiosi che cercano di volare e riti di ogni genere per far propiziare la pioggia contro la siccità incombente. Mentre i fanatici religiosi attendono la pioggia e i messaggi del divino, con riti propiziatori, la propaganda bolscevica si centra e insegna la modernizzazione dell’uomo nuovo sovietico. Nel film mentre si biasimano i religiosi, si vedono le attività sovietiche che utilizzano le tecnologie e l’intelligenza del lavoro, ossia l’estrazione dell’acqua dai pozzi, o il suo convogliamento in canali per l’irrigazione: è la logica del materialismo socialista. Continua a leggere

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