di Daniele Palmieri
Fonte: Nero d’Inchiostro
Contadino, politico, soldato, letterato; non è semplice definire Catone sotto l’ala di un’unica categoria.
Di origini rustiche, figlio a sua volta di contadini, Catone amava definirsi un “homo novus”, ossia un uomo che dal nulla aveva costruito la sua fortuna esclusivamente con il lavoro e con la virtù.
Conosciuto ai più o come strenuo oppositore di Cartagine o come tra i fondatori della letteratura latina, Catone fu una figura poliedrica, non esente da limiti, difetti e contraddizioni, ma nei confronti del quale è difficile non provare una forma di rispetto reverenziale.
Ne rimasero ammaliati pensatori come Cicerone, Livio, Seneca, Plutarco, che ne elevarono l’incorruttibile morale a modello ideale. La sua stessa progenie vantò nobili discendenti, tra i quali Catone detto l’Uticense, filosofo stoico e martire per la libertà nel tentativo di fermare l’ascesa di Cesare.
Catone è dunque una figura dai mille volti e non vi è nulla di meglio dei suoi scritti per ricostruire le diverse sfaccettature proprie di questa variegata personalità.
La saggezza romana del vivere raccoglie i suoi aforismi, le sue sentenze e i suoi detti memorabili più incisivi, tramandati sia dall’unica opera intera a noi pervenutaci, il De Agricoultura, e dai frammenti, diretti o indiretti, tramandati dagli autori antichi. Il testo contiene inoltre la prima traduzione italiana dei Monosticha Catonis, delle “regole auree” del buon vivere tramandate sotto il nome di Catone, che ebbero grande diffusione nel medioevo latino, proprio per il loro capacità di delineare una morale semplice, pratica e allo stesso tempo incisiva.
Ma perché si dovrebbe recuperare il pensiero di questo uomo pratico, per nulla incline alla speculazione filosofica?
Anzitutto, vi è un motivo se gli scritti e il pensiero di Catone ebbero così tanto successo nell’occidente antico e medievale. Questo perché, per quanto accennato in precedenza, pur non contenendo raffinate speculazioni filosofiche, testimoniano tuttavia una saggezza pratica del vivere, tratta dall’esperienza quotidiana, che ben si adatta alle esigenze etiche della vita di ogni giorno.
Catone è una delle più alte testimonianze della Sapienza romana, volta all’azione piuttosto che alla contemplazione, ma non per questo meno profonda poiché l’azione stessa diviene una via per vivere e assaporare una forma di conoscenza divina, raggiungibile soltanto tramite il lavoro e il sudore della fronte.
L’etica e la sapienza di Catone potrebbero essere riassunte, infatti, come l’etica e la sapienza del lavoro. Le sue sentenze lapidarie si scagliano spesso contro l’ozio e l’inattività, terreno fertile del vizio; scrive, ad esempio: “Le prosperità sogliono generare negligenza, per impedire la quale, per quanto mi riguarda, non ho mai risparmiato lavoro” (Catone, La saggezza romana del vivere. Aforismi, sentenze e detti memorabili, pp. 36).
Soltanto il lavoro permette all’uomo di elevarsi, di guadagnarsi il proprio posto nella vita terrena, giacché “Se rimani a far nulla, non vali nulla“; e sempre il lavoro permette di far germogliare il seme della virtù, laddove il termine “virtù” non è da intendersi meramente in senso moraleggiante, bensì come come una perfezione dell’animo sine qua non affinché si possa compiere grandi imprese.
Scrive Catone a tal proposito: “Pensate dentro di voi che, ove abbiate faticato per qualche nobile impresa, quella fatica partirà presto da voi, mentre la bella impresa non vi abbandonerà mai durante il corso della vostra vita; ove, invece, abbiate malamente operato per assecondare il piacere, questo si dileguerà presto e con voi rimarrà sempre quella disonorevole azione“ (Catone, La saggezza romana del vivere, pp. 36).
Lavoro, virtù e, di conseguenza, etica sono i tre pilastri sui quali si fonda la società umana, che senza tale reciproca collaborazione, fortificata poi dalle leggi, cadrebbe al collasso. Società che si fonda dunque su un equilibrio reciproco, che soltanto un governo democratico può favorire. I pari che lavorano da pari e prendono decisioni politiche da pari sono il nerbo di una società ideale, nella quale tutti i poteri sono bilanciati e non sono monopolizzati dalla bramosia di un solo re che, sempre per quanto insegna Catone: “è una creatura vorace”.
Per concludere, dunque, il grande messaggio di Catone è un richiamo all’equilibrio, quanto dell’uomo con se stesso, quanto dell’uomo con il mondo, quanto dell’uomo con i propri simili, poiché soltanto tale equilibrio permette di vivere autenticamente, senza mai eccedere né nel poco né nel troppo. Concludendo con le sue parole: “La vita dell’uomo è come il ferro: se uno lo usa troppo, si logora; se uno non lo usa, esso viene logorato dalla ruggine. Similmente vediamo che gli uomini per troppo affaticamento si indeboliscono; se poi sono inoperosi, l’inerzia e il torpore recano loro maggior danno della fatica“ (Catone, La saggezza romana del vivere. Aforismi, sentenze e detti memorabili, pp. 41).