Il bollino rosso del politicamente corretto

Il bollino rosso del politicamente corretto
di Marcello Veneziani
Fonte: Marcello Veneziani
C’è un oscuro desiderio di censura che attraversa l’Occidente, i suoi media, le scuole e le università. È una censura liberal o radical, nel segno del progresso e della libertà.
Si accanisce non con estremisti e malfattori ma con fior di scrittori, poeti e letterati del passato, come Shakespeare, Dante, Ovidio, Euripide. O con artisti che ebbero vite violente o descrissero scene violente. All’università di Cambridge, per esempio, alcuni grandi classici, incluso Shakespeare, sono stati dotati di un bollino rosso.
L’obiettivo? Ammonire gli studenti per evitare che rimangano sconvolti dalla lettura di «rappresentazioni della violenza sessuale»Ma da Cambridge alla Columbia University, da Parigi alle sedi nostrane della cultura e della letteratura, contagia teatri e musei, scuole e cinema.
Il peccato punito dalla nuova Inquisizione è aver violato il catechismo vigente, la political correctness e aver scritto, detto, fatto cose inaccettabili agli occhi di oggi su donne, neri, ebrei, disabili, omosessuali e minoranze oggi protette. Bollino rosso o segnalazione di pericolo, trigger warning per gli autori irriverenti accusati di sessismo, razzismo, xenofobia, omofobia o violenza.
I censori del Bollino Rosso giudicano i classici con le lenti del presente e con infinita presunzione pensano che tutte le generazioni passate abbiano avuto convinzioni sbagliate; solo noi sappiamo come stanno davvero le cose, cosa è giusto dire e cosa no.
La grandezza di un autore o di un’opera è così subordinata alla sua conformità ideologica al presente o al suo comportamento in vita; non conta il valore ma la correttezza. E se non risponde ai canoni scatta il bollino rosso.
Vietato vietare fu lo slogan che i censori di oggi gridavano nelle università e nelle scuole di un tempo contro la repressione, l’oscurantismo e la censura.
Ora si rovescia il canone con risultati paradossali: si può usare il turpiloquio ma non la poesia politically uncorrect, si può fumare la cannabis ma non leggere certi sonetti di Shakespeare, si può fare sesso in aula e magari riprenderlo con lo smartphone ma non leggere in aula passi “sessisti” di Ovidio.
La rimozione non riguarda solo l’alta cultura ma anche il pop.
Al cinema un film per avere l’imprimatur di Hollywood, la nomination per un premio o ricevere un finanziamento pubblico per alto valore culturale deve avere almeno uno dei seguenti requisiti: raccontare una storia contro il razzismo in cui la vittima, il personaggio positivo, è sempre di colore; o storie di migranti, dove i cattivi sono sempre i “nostrani”, “arrivano i nostri” dei film western si capovolge in “arrivano loro”, gli stranieri; oppure una storia di omosessualità perseguitata e liberata, di femminismo oltraggiato o violentato, dove la famiglia, il prete o il padre è il male.
Se è un film storico il tema privilegiato sarà i nazisti e gli ebrei o i fascisti e i partigiani; silenzio su ogni altro orrore o pagina di storia. I tg, la scuola, l’università, i giornaloni ogni giorno decretano il catechismo dell’accoglienza e del rifiuto, dei divieti e delle trasgressioni ammesse, il semaforo del prescritto e del proscritto.
Eccoli i nuovi bigotti coi loro parrucconi dell’ipocrisia.

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