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di Alastair Crooke
Fonte: Aurora sito
La recente serie di eventi porta Israele a ripiegarsi; o almeno, a una profonda riflessione esistenziale, nel settantesimo anniversario della fondazione. La profondità di questa introspezione piuttosto ansiosa è diventata esplicita nella discussione ospitata da Yediot Ahronoth, il più importante giornale israeliano, tra sei ex-capi del Mossad, il servizio d’intelligence israeliano. L’irruzione più diretta in questo stato d’animo cupo era la dichiarazione alla Knesset(parlamento) secondo cui la popolazione tra Giordania e mare era esattamente bilanciata, 6,5 milioni per parte, tra israeliani e palestinesi. Certo, l’uguaglianza demografica si sarebbe verificata a un certo punto, lo sapevano tutti. Non è quindi una sorpresa; ma è uno schiaffo della realtà, nondimeno. Queste cifre furono pubblicate dalle IDF e sono quindi difficili da contestare. Questo momento di realtà riduce così la capacità di certi israeliani di persistere col pio desiderio che i palestinesi sia assai di meno. Questa svolta enormemente simbolica è qui, è arrivata. La domanda su quale tipo di Stato sarà Israele non è più teorica. Uno dei sei ex-direttori del Mossad, Pardo, rispondeva alla domanda qual è, secondo lei, la peggiore minaccia alla sicurezza nazionale israeliana?: “La peggiore minaccia, è il fatto che tra il mare e il fiume Giordano c’è un numero quasi identico di ebrei e non ebrei. Il problema centrale dal 1967 ad oggi è che Israele, per l’intera dirigenza politica, non ha deciso che Paese essere. Siamo l’unico Paese al mondo che non ha definito i propri confini. Tutti i governi vi si sono sottratti… Se lo Stato d’Israele non decide ciò che vuole, alla fine ci sarà uno Stato unico tra mare e Giordano. Questa è la fine della visione sionista“. Due altri eventi definivano il dilemma: in primo luogo, il primo ministro israeliano è stato costretto a un’inversione di marcia su un’iniziativa che avrebbe consentito a decine di migliaia di immigrati africani in Israele di essere reinsediati in Europa. La destra del suo governo di coalizione non voleva che Israele diventasse un canale della migrazione economica africana in Europa, costringendolo alla ritrattazione politica. È probabile che i rifugiati siano ora espulsi in Africa. Potrebbe sembrare un evento relativamente insignificante (tranne che per i migranti), ma ha nuovamente messo a fuoco, specialmente tra gli ebrei liberali in Israele e Stati Uniti, la questione di ciò che ora è la base morale dello Stato israeliano: Israele s’è gonfiato con milioni di immigrati dall’URSS (molti dei quali non sono ebrei). Israele ora abbandona la missione dello Stato su “esilio e rifugio”, allargando lo scisma tra gli ebrei statunitensi.
Il terzo evento sconcertante è stata la “marcia del ritorno” degli abitanti di Gaza verso il recinto che separa Gaza da Israele: Israele rispose sparando uccidendo 17 palestinesi: “Immaginate il risultato“, aveva detto a Ben Caspit un ufficiale israeliano, “se avessero spezzato il recinto, anche in un solo punto, marciando verso Israele. Sarebbe finita in un bagno di sangue“. La collisione tra la notizia che i palestinesi sono ora 6,5 milioni, con la nuova inedita tattica della dimostrazione di massa palestinese per i diritti civili con proteste pacifiche, da i brividi alla sicurezza israeliana: quale sarebbe la conseguenza se centomila palestinesi affollassero la recinzione, irrompendo e invadendo città e campagne vicine? Panico, e quindi sparatorie. Ma queste domande esistenziali sorgono mentre sorge la difficile costellazione geostrategica d’Israele. Un esempio, citato dal New Yorker, un ex-funzionario statunitense che partecipò al primo briefing di Jared Kushner presso l’NSC: ““Abbiamo tirato fuori la mappa e valutato la situazione”, aveva detto l’ex-funzionario della difesa. “Esaminando la regione, hanno concluso che la fascia settentrionale del Medio Oriente era persa a favore dell’Iran. In Libano, Hezbollah, agente iraniano, controlla il governo. In Siria, l’Iran ha contribuito a salvare il Presidente Bashar al-Assad dal disastro militare e ora ne rafforza il futuro politico. In Iraq, il governo, nominalmente filo-USA, è influenzato da Teheran. “Abbiamo quel tipo da mettere da parte”, mi disse il funzionario. “Abbiamo pensato, e ora? Le nostre ancore sono Israele e Arabia Saudita”. E il risultato: Kushner, che non ha esperienza del Medio Oriente, si recò a Riyadh per diverse sessioni “tutta la notte” col suo nuovo amico MbS, per discutere le “idee di quest’ultimo su come rifare il Medio Oriente… Ma, Bannon disse al New Yorker, il messaggio che lui e Kushner volevano che Trump trasmettesse ai capi della regione era che lo status quo doveva cambiare, e in più posti, così era meglio. “Gli abbiamo detto, Trump gli ha detto: “Vi sosteniamo, ma vogliamo azione, azione”, disse Bannon. Nessuno sembrava più desideroso di sentire quel messaggio del vice-principe ereditario. “Il giudizio era che dovevamo trovare un agente del cambiamento”, mi disse l’ex-funzionario della difesa. “È qui che arrivò MbS. L’avremmo accolto come agente del cambiamento”. Cosa? Bannon e Kushner dichiaravano di volere cambiare lo status quo del Medio Oriente, ma avendo appena concluso di aver già perso il settentrione e forse anche l’Iraq, a favore dell’Iran, decisero di assegnare il compito a MbS che aveva detto a un incredulo Tony Blinken (nel 2015): ““Mi ha detto che il suo obiettivo era sradicare l’influenza iraniana nello Yemen”, secondo Blinken. Fui colto alla sprovvista, osservò Blinken: scacciare i simpatizzanti dell’Iran dal Paese richiederebbe un bagno di sangue. “Gli dissi che poteva fare molte cose per minimizzare o ridurre l’influenza iraniana. Ma per eliminarla…?”” MbS è colui che può “respingere i persiani”, come sosteneva Steve Bannon? Questo non può essere preso sul serio. Qualcuno ricordò a Kushner le parole di Stalin a Pierre Laval nel 1935: “Il Papa! Quante divisioni ha il Papa di Roma?“. Non c’è da stupirsi che la dirigenza della sicurezza israeliana sia cauta.
Yediot Ahoronot racconta: “Ho chiesto agli ex-direttori del Mossad se loro, guardando Israele nel 70° anniversario, fossero soddisfatti: “Fui il primo direttore del Mossad che non faceva parte della generazione del 1948”, disse Shabtai Shavit. “Sono nato nello Stato, e mi sento molto male per ciò che vi accade. I problemi sono così grandi, profondi, ampli. Non ci sono linee rosse, niente è tabù. Come membri della comunità d’intelligence, la nostra capacità più importante è cercare di prevedere il futuro. Mi chiedo che tipo di Paese lascerò ai miei nipoti, e non riesco a trovare una risposta”.” Shavit si riferiva principalmente alle divisioni interne e alla perdita d’integrità della leadership politica israeliana; ma la situazione geopolitica non è nemmeno favorevole ad Israele. Gli USA, in un modo o nell’altro, si ritirano dal Medio Oriente. Più significativamente, tuttavia, diventa evidente che, col desiderio degli USA di ridurre Cina e Russia. s’innescava una risposta inaspettata. Sembra che Cina e Russia ne abbiano abbastanza del belluismo occidentale. Forse fu la strambata delle “potenze revisioniste” nella dichiarazione sulla postura della difesa nazionale degli Stati Uniti; forse l’escalation della guerra dei dazi; o forse “l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso” è stata l’espulsione dei diplomatici russi coordinata cogli “Skripal” (che sembra aver infuriato la Cina tanto quanto la Russia) ad aver scatenato questa reazione. Qualunque sia la causa, i “guanti sono tolti” a quanto pare. Cina e Russia non intendono più “subire”. Ciò ha importanti implicazioni per il Medio Oriente: Cina e Russia illustrano in modo molto visibile agli USA profondità e forza dell’unità strategica esistente tra esse. L’Iran ne fa parte ed è anche un partner strategico. La Cina infliggerà danni agli Stati Uniti se persistono con la guerra dei dazi (o altra modalità di guerra finanziaria). La Russia, cooperando con la Cina, causerà danni agli Stati Uniti, nel caso in cui ritenga che il loro Stato profondo continui a minacciarla. Neanche Iran o Siria accetteranno di essere ingiustificatamente presi di mira dagli interessi occidentali. Il Presidente Putin l’ha chiarito al primo ministro Netanyahu dopo l’abbattimento dell’F16 israeliano: la Russia ha ora interessi nella regione, e non permetterà ad Israele di “fare casino”. Chi si tirerà indietro da questo “gioco del pollo”? Non è chiaro. Potrebbe invece intensificarsi. Apparentemente, la Cina ha molto da perdere da una guerra dei dazi, ma gli Stati Uniti potrebbero essere più vulnerabili di quanto si pensi. Questa amministrazione ha legato indissolubilmente la credibilità politica dello Stato ai mercati finanziari (in particolare azionario). I mercati azionari sono quindi diventati la via del successo politico degli USA. Ci sono segnali che la Cina sappia che i mercati azionari e del debito statunitensi sono il tallone d’Achille degli USA. Steven Englander di Rafiki Capital Management nota: “Il trade spider si gioca in gran parte sui mercati finanziari, con la reazione sui titoli usati per determinare la saggezza della Cina o la politica degli Stati Uniti. I dazi statunitensi sembrano essere stati scelti per favorire economia e commercio. La risposta della Cina oggi è dettata dal desiderio d’infliggere il più netto danno politico e finanziario al mercato. È difficile credere che un Paese con dazi più alti ed esportazioni negli USA ad alta intensità di manodopera e quasi quattro volte le importazioni dagli USA, possa vincere una guerra commerciale. Tuttavia, ciò potrebbe avverarsi se la politica statunitense sarà più sensibile ai prezzi di azioni e prodotti politicamente sensibili che non alla politica della Cina, coi beni appena sottoposti a dazi. Un voto di fiducia percepito dai mercati finanziari può avere conseguenze sul mondo reale rafforzando i rispettivi processi negoziali: le reazioni positive danno ai politici maggiore margine di manovra nel sospingere le proprie politiche; una svendita sul mercato aumenterà la pressione per arretrare o trovare una soluzione rapida“.
La deterrenza d’Israele ne sarà probabilmente vittima, dato che USA ed asse Cina-Russia si scontrano. Il borbottio belluino di Bannon sul “nostro piano per annientare il califfato fisico dello SIIL in Iraq e in Siria, non attrito e annientamento, e far retrocedere i Persiani”, potrebbe sembrare neo-realista, ma sarebbe anche vuota retorica. L’Iran è un interesse russo, per diversi motivi, gli israeliani sono stati avvertiti e la loro capacità di agire è limitata. E i mercati azionari israeliani, oltre a Wall Street, potrebbero subire anche “danni collaterali” con queste nuove guerre finanziarie, esacerbandone le tensioni interne. Infine, la concatenazione di eventi può far sì che alcuni israeliani riflettano sul perché antagonizzare l’Iran, se Cina e Russia sembrano pronti a emergere come prossimo asse di potenze dell’Eurasia. È in corso un cambiamento strategico. E, dopotutto, Israele fu abbastanza pragmatico da avere relazioni coi nuovi leader rivoluzionari dell’Iran immediatamente dopo il 1979. Israele si fermò ed iniziò a demonizzare l’Iran solo come conseguenza del cambiamento nella politica interna israeliana, e non per una nuova minaccia.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
bell’articolo che fa ben sperare nel crollo di Israele razzista e sionista…