di Maurizio Blondet
Fonte: Maurizio Blondet
Se andate a New York e qualcuno vi dice “Lei parla benissimo l’inglese”, come lo prendete? Per un complimento. Invece all’università di Irvin e nelle altre nove università della California e molti altri campus, è una “micro-aggressione”. Perché, secondo gli studenti che hanno vietato l’espressione, suggerisce che “non siete un vero americano”. Quindi dovete assolutamente evitarla, per non fra star male – chi, l’interlocutore? – no, gli studenti stessi. Gli studenti hanno fatto una lista delle espressioni che a loro suonano discriminatorie e, perciò, li fanno star male. Parlare dell’America come “melting pot” è una micro-aggressione contro le persone che non vogliono assimilarsi e fondersi nella cultura americana. Dire che l’America è “il paese delle opportunità” è micro-aggressione alle persone cui il razzismo, il sessismo o (dio non voglia) “l’omofobia” ostacola il successo.
L’aprile scorso, alla Brandeis University, un’associazione di studenti americani con gli occhi a mandorla hanno postato un manifesto nell’atrio con l’elenco dlle frasi che consideravano microaggressioni. Si andava dalla frase: “Voi siete bravi in matematica” fino a: ”Io sono colorblind! Non vedo le diversità razziali!”. Il guaio è che altri studenti, anch’essi americani d’origine asiatica, hanno sentito il manifesto stesso come una microaggressione contro di loro, e il presidente della associazione ha dovuto scrivere una lettera di scuse a chi si era sentito “ferito dalla microaggressione”.
Alla facoltà di Diritto di Harvard gli studenti – di diritto! – hanno chiesto ai professori di non usare la parola “violare” (non solo sessualmente, ma anche in “violare la legge”) perché li fa star male: lo ha scritto sul New Yorker una docente di diritto, Jeannie Suk (asiatico-americana, ma non fatelo notare). La sociologa Laura Kipnis della Northwestern University , per aver scritto un saggio sulle “Avances indesiderate – la paranoia sessuale imperante nei campus”, è stata sottoposta ad inchiesta dai suoi studenti, che hanno cercato di farla licenziare.
Già nel 2007, gruppi studenteschi hanno cercato di far licenziare Keith John Sampson, un collega (studente-lavoratore,faceva anche il portinaio della Purdue University, Indiana) perché leggeva pubblicamente il libro “Notre Dame vs the Klan : How the Fighting Irish sconfisse il Ku Klux Klan“. E’ un libro contro il KKK, che ricorda come la setta fu combattuta nel 1924 dagli abitanti irlandesi cattolici di Notre Dame: ma la copertina su cui apparivano gli incappucciati bastava, dissero gli accusatori, a farli sentire male. Sampson è stato condannato per “molestie razziali” dall’ufficio Affirmative Action della stessa università; ha evitato il licenziamento solo perché del suo caso si sono interessati la stampa e la American Civil Liberties Union, e l’università ha finito di ritirare l’accusa. Ma il sindacato lo ha consigliato di non leggere libri con certe copertine in pubblico, “è come portare pornografia a scuola”
https://nypost.com/2008/05/09/my-racial-harassment-nightmare/
(Basta la copertina)
Giustificano la censura con motivi medici
Così si giustifica il “Io sono un professore progressista, e ho terrore dei miei studenti progressisti”, che ha scritto un anonimo docente spiegando – sotto pseudonimo – con quanta cautela deve insegnare, per non far scatenare le rappresaglie degli studenti “feriti ed offesi” da una sua frase qualunque. I professori sono consigliati di far precedere le loro lezioni da dei “trigger warnings”, messaggi (verbali o anche scritti) in cui avvertono che alcune delle cose che diranno potrebbero essere “triggering” , ossia scatenare in certi studenti emozioni forti e negative basate su una loro esperienza traumatica anteriore”.
Gruppi di studenti hanno segnalato come “scatenanti disagio” testi come Le Metamorfosi di Ovidio (violenza sessuale), La signora Dalloway di Virginia Woolf (per “inclinazioni suicide”), Il Grande Gatsby di Fitzgerald per essere discriminatorio e offensivo per le donne.
A questo punto, una vasta parte della letteratura americana e classica cade sotto la censura e non deve essere letta ad alta voce. Ovviamente, anche la Genesi , “maschio e femmina Dio li creò” diventa impossibile da insegnare, perché aggressiva verso le multiformi tribù LGBT.
Sono alcuni dei casi descritti da Gregg Lukianoff nel suo saggio “ The Coddling of the American Mind: How Good Intentions and Bad Ideas Are Setting Up a Generation for Failure” ( “Coccolare la mente americana- Come le buone intenzioni e le idee sbagliate stanno allevando una generazione per il fallimento).
Lukianoff, che è un avvocato militante per la difesa della libertà d’espressione (Primo Emendamento), vi segnala un peggioramento della situazione di censura nei campus. “Prima, erano le amministrazioni delle università a istruire i professori a non usare parole che potessero suonare discriminazione (razziale o sessuale). Ma dal 2013-14, di punto in bianco, sono gli studenti ad imporre i nuovi codici verbali, le politiche di “trigger warning”, gli elenchi di “microaggressioni” – e sempre peggio, ad esigere l’annullamento di incontri pubblici, organizzati dalle università, con conferenzieri che non amano, perché “li fanno sentire male”.
Infatti il carattere principale di questa nuova censura studentesca è la sua “medicalizzazione”. Gli studenti che esigono la censura su idee,testi letterari e persone, non lo fanno motivando di essere contrari a quelle idee, filosofie e persone. No, dicono di esserne feriti, in senso medico e psichico. Che aggrava la loro ansia e depressione, che danneggia la loro salute mentale.
In tal modo, non discutono; vietano e basta. “Lo scopo ultimo”, dice Lukianoff, “sembra essere quello di trasformare i campus universitari in “spazi sicuri” (safe spaces) dove questi giovani adulti sono protetti da parole e idee che li rendono a disagio. Fino al punto da punire chiunque turbi questo scopo, anche in modo accidentale: qualcosa che ho chiamato “proiettività vendicativa”. Crea una cultura dove uno deve pensare due volte prima di parlare, per scongiurare le accuse di insensibilità,razzismo, aggressione, molestia o ppeggio”.
Immaginate quanto aiuta questa “cultura” la libertà accademica. Ovviamente, dal punto di vista psico-terapeutico, questa cura estrema ad evitare ciò che “disturba” non li rafforza nel carattere, né li rende più sani. Per nulla.
“Tra il 2009 e il 2015, la domanda di visite di soccorso psichiatrico è aumentata cinque volte più rapidamente del numero di iscrizioni. Uno studio recente ha riferito che nel 2017, fra i giovani adulti in generale, la depressione è aumentata notevolmente negli ultimi tre anni, e che nel solo 2017 la percentuale di giovani che hanno avuto serie idee suicidarie è passata dal 6,8 per cento del 2008 al 10,5%.
La censura rende la vita stessa di molti studenti un inferno orwelliano. Il 30 per cento di loro hanno confessato di aver paura di esprimersi in classe perché le loro espressioni rischiavano di essere considerate offensive; il 29% ha paura di esprimersi al di fuori dei corsi, nelle conversazioni libere nel campus, perché altri potevano trovare le loro idee politicamente scorrette – e ciò comporta l’isolamento punitivo del singolo da parte del gruppo, la sua trasformazione in paria che viene evitato, a cui non si rivolge la parola, non invitato alle feste eccetera. Più o meno ciò accade anche ai professori. “Che si abbia paura di chiacchierare alla mensa universitaria o nei dormitori è particolarmente allarmante, perché l’università si suppone essere il campo dove si impara gli uni dagli altri”.
E’ una “rivoluzione culturale”, ma al contrario di quella che esplose nel ’68 nelle stesse università di California al grido di “vietato vietare” e della libertà sessuale e di drogarsi. Questa rivoluzione congela ed opprime in nome del conformismo, assunto come condizione medica necessaria. “L’aspirazione all’universale che muoveva quei movimenti è stata sostituita dal pensiero tribale: ognuno sta dentro il suo gruppo (etnico o di preferenze sessuali) come nella tribù che lo fa sentir bene. Verso tutti gli altri, l’atteggiamento è: “Voi non comprendete ma mia esperienza e sentimenti, perché non siete come me negro, omosessuale, lesbica, vegano … dunque non vi ascolto nemmeno”. Il risultato è la nuova segregazione fra gruppi che si straniano e si vivono come ostili e incomunicabili.
Che dire? Anzitutto che si tratta di un fenomeno “di classe”, dove questi figli di papà si avvolgono nella loro guscio protettivo dalla realtà in una società dove, invece, i coetanei poveri hanno la miglior opportunità nell’arruolarsi nelle guerre infinite, affrontare la realtà più cruda di sangue e imboscate, terrore e omicidi – per poi finire, reduci affetti da vere sindromi post-traumatiche, ben più reali di quelle che accusano gli snowflakes, come senza tetto disprezzati e abbandonati, cacciati dai quartieri alti perché fanno i loro bisogni sul marciapiede come a San Francisco. Oppure da ironizzare che frasi innocue per i più siano sentite come “aggressioni” da gente che le carica appunto delle proprie intenzioni malevole: sono appunto i ricchi privilegiati, quando vi dicono, “parlate bene l’inglese”, quelli che aggiungono mentalmente “…per essere un messicano e un inferiore”.
Ma più urgente sottolineare il paradosso: questa oppressione che i giovani esercitano nei campus sui coetanei come sui professori, è il paradossale risultato dell’ideologia anti-autoritaria: quella che nega la gerarchia fra docente e discepoli, rigetta ogni disciplina e severità, e di fatto invita i ragazzi ad auto-educarsi, a stabilire il loro proprio ordinamento, al di fuori del mondo adulto. In un mondo senza pressione sociale proveniente dalla religione come dalla moralità comune, il risultato è questo: che i giovani lasciati a sé stabiliscono una gelida dittatura, un totalitarismo censorio d’acciaio.
Quando gli adulti si cancellano
Non accade solo in America, né nei quartieri alti. La notte di domenica 14 un ragazzino di 13 anni è stato ucciso a colpi di sbarre di ferro di cinque coetanei a Seine Saint-Denis, una banlieue alle porte di Parigi; altri omicidi sono avvenuto in lotte fra bande dei quartieri, sempre più giovanili. E’ quella situazione “gravemente degradata” che ha denunciato Gerard Collombe, il ministro degli interni di Macron, prima di dimettersi. Il ministero ha contato almeno novanta bande di minorenni feroci, che né i poliziotti né i giudici (che li assolvono) riescono a contenere, men che meno gli insegnati e gli imam nei quartieri arabi.
E’ il risultato di qualcosa che il giornalista-sociologo Luc Bronner, deficine “il cancellarsi degli adulti” nei “ghetti” francesi. Nelle famiglie di quei ragazzini criminali, il padre, quando pur esiste, è un disoccupato o un alcolizzato, per i bambini un fallito senza successo quindi che non ha nulla da insegnare. Da qui”un rovesciamento di gerarchie” per cui “alle porte della république si sono costituite delle contro-società, con le loro gerarchie, le loro leggi, i propri rapporti sociali, i propri valori. E una forma di dominazione adolescenzialeprobabilmente inedita in Francia come in Europa”. Come rimedio, il giornalista crede necessario “restaurare un ordine generazionale” – la gerarchia degli adulti responsabili sui propri bambini, cosa più facile a dirsi che a farsi in una società che ha distrutto e deriso, quindi delegittimato, ogni autorità.
Del resto aveva già visto tutto William Golding, nel suo romanzo “Il Signore delle Mosche” per cui ha vinto il Nobel. La storia di bambini dell’alta classe britannica scampati a una strage atomica, che in un’isola deserta creano la propria società: con la propria gerarchia totalitaria, il suo dittatore oppressivo, diviso in tribù, con ossessioni tribali per una “Bestia” che si nasconde da qualche parte – e finiscono per adottare come totem una testa di maiale putrefatta – per onorare appunto “Il Signore delle Mosche”, uno dei nomi babilonesi del Maligno . Perché l’uomo è inclinato al male…
I preti assistenti nelle carceri minorili riferiscono di giovani criminali che non hanno alcuna idea di aver fatto male, anzi nessuna idea del bene o del male. Sono anche loro giovani che si sono auto-educati, a modo loro, non avendo gerarchie cui obbedire e da cui imparare? Domenica mattina a Milano il centro è stato occupato da una corsa : chiamati da Radio Deejay (una radio di sola musica pop) decine di migliaia di milanesi hanno corso. Mentre li vedevo passare , in file densissime , tutti con la loro maglietta dello stesso colore, la divisa,mi sono chiesto: come mai la gente quando si sente libera, e può fare quello che vuole, vuole fare ciò che fanno tutti gli altri?
La gente usa la liberta tanto vantata come conquista, per “conformarsi”. Il conformismo è il normale modo d’essere della gente; e basta un appello di una radio pop che dia un compito e un fine, ed ecco arrivano a migliaia.
La diagnosi l’ha scritta –lo so, mi ripeto – Ortega y Gasset: in un’Europa dove non ci sono più “principi che ci obblighino a vivere in un certo modo, la nostra vita rimane esposta alla pura provvisorietà. Questa è l’orribile situazione intima in cui viene a trovarsi ormai la migliore gioventù del mondo. Nel sentirsi puramente libera, esente da impegni, si sente vuota. Una vita senza impegni è più negativa della morte. Perché vivere vuol dire avere da fare qualcosa di preciso – equivale a compiere un incarico – e nella misura in cui eludiamo di sottomettere a un compito la nostra esistenza, vanifichiamo la nostra vita”.
Ciò perché, scriveva, l’Europa “nessuno comanda più. Comandare vuol dire assegnare un compito alle persone, metterle sulla via del loro destino,sul loro cardine – impedirne la dissipazione”. Era il 1930. Quanto siamo avanti nella vita senza impegni, giudicate voi.