di Alessandro Sallusti
La chiamano “liberazione” ma in realtà è una prigionia. Ogni anno il 25 aprile fa prigionieri gli italiani e li costringe ad assistere alla contrapposizione tra presunti partigiani e fantomatici fascisti
La chiamano «liberazione» ma in realtà è una prigionia. Ogni anno, dal 1946, il 25 aprile fa prigionieri gli italiani e li costringe ad assistere a tre giorni di contrapposizione tra presunti partigiani e fantomatici fascisti.
Cambiano i nomi dei partiti e pure il quadro politico ma il 25 aprile no, si ripete con identica liturgia e con uguali parole d’ordine a prescindere dalla realtà, con un’enfasi e una retorica quasi che il nemico fosse ancora alle porte e i resistenti su in montagna a combattere.
Visto che per non offendere i «nuovi» italiani c’è chi è arrivato a negare la celebrazione del Natale, sarebbe bello che per non offendere l’intelligenza di tutti gli italiani la piantassero con la riedizione verbale di una guerra civile che – quella sì – fu cosa seria e produsse inutili morti da ambo le parti. Il 25 aprile è una festa partigiana nel senso di parte. Si ricorda non la benefica fine di una dittatura cosa più che legittima – ma una storia riscritta a uso e consumo dei vincitori. I quali, fino al 24 aprile 1945, certamente non erano in numero apprezzabile nelle piazze armati ma richiusi in casa ad aspettare i liberatori degli eserciti angloamericani per poi sfogare nei giorni seguenti la loro vendetta con altrettanta ferocia dei predecessori.
La storia ognuno la legge come vuole, ma è la cronaca a essere oggettivamente stucchevole. Neppure il giovane Di Maio (si parla di fatti che riguardano suo nonno) è riuscito a sottrarsi al pagamento della tassa e domani sfilerà, non si capisce a che titolo, alla testa di uno dei tanti cortei puntando il dito contro il «fascista» Salvini, che va bene per andare al governo ma che diventa un pericolo pubblico sotto elezioni.
Già, perché il problema è proprio e solo questo: fuori dall’ipocrisia, non c’entra la memoria e neppure la storia, ma solo i voti. Essendo infatti le elezioni quasi sempre attorno a maggio, il 25 aprile il più delle volte cade in piena campagna elettorale. Quale occasione migliore quindi per andare in piazza a difendere, da chi non si capisce, la «Repubblica nata dall’antifascismo» (più veritiero sarebbe dire: nata grazie agli americani e a Churchill).
Che poi per il resto dell’anno questa Repubblica venga dagli stessi patrioti costantemente bistrattata e mortificata da politiche inadeguate è ritenuta cosa secondaria. In fondo basta aspettare solo altri 12 mesi che arriva il 25 aprile successivo, e per l’ennesima volta anche i mediocri e i codardi potranno tornare a dirsi per un giorno statisti e leoni.
Visto che per non offendere i «nuovi» italiani c’è chi è arrivato a negare la celebrazione del Natale, sarebbe bello che per non offendere l’intelligenza di tutti gli italiani la piantassero con la riedizione verbale di una guerra civile che – quella sì – fu cosa seria e produsse inutili morti da ambo le parti. Il 25 aprile è una festa partigiana nel senso di parte. Si ricorda non la benefica fine di una dittatura cosa più che legittima – ma una storia riscritta a uso e consumo dei vincitori. I quali, fino al 24 aprile 1945, certamente non erano in numero apprezzabile nelle piazze armati ma richiusi in casa ad aspettare i liberatori degli eserciti angloamericani per poi sfogare nei giorni seguenti la loro vendetta con altrettanta ferocia dei predecessori.
La storia ognuno la legge come vuole, ma è la cronaca a essere oggettivamente stucchevole. Neppure il giovane Di Maio (si parla di fatti che riguardano suo nonno) è riuscito a sottrarsi al pagamento della tassa e domani sfilerà, non si capisce a che titolo, alla testa di uno dei tanti cortei puntando il dito contro il «fascista» Salvini, che va bene per andare al governo ma che diventa un pericolo pubblico sotto elezioni.
Già, perché il problema è proprio e solo questo: fuori dall’ipocrisia, non c’entra la memoria e neppure la storia, ma solo i voti. Essendo infatti le elezioni quasi sempre attorno a maggio, il 25 aprile il più delle volte cade in piena campagna elettorale. Quale occasione migliore quindi per andare in piazza a difendere, da chi non si capisce, la «Repubblica nata dall’antifascismo» (più veritiero sarebbe dire: nata grazie agli americani e a Churchill).
Che poi per il resto dell’anno questa Repubblica venga dagli stessi patrioti costantemente bistrattata e mortificata da politiche inadeguate è ritenuta cosa secondaria. In fondo basta aspettare solo altri 12 mesi che arriva il 25 aprile successivo, e per l’ennesima volta anche i mediocri e i codardi potranno tornare a dirsi per un giorno statisti e leoni.
FONTE – http://m.ilgiornale.it/news/2019/04/24/prigionieri-della-liberazione/1683753/