Il maricello
di Marcello Veneziani
Mio padre era un grande costruttore di maricelli. Appena arrivava al mare, si spogliava e cominciava l’opera. Edificava con due pietre piatte più grandi un sedile in riva al mare e con i piedi nell’acqua cominciava la sua impresa edile. Radunava in cerchio i sassi più grandi, ora spostandoli, ora facendoli scivolare fino a capovolgerli, riportando alla luce il loro versante più scuro, un ventre verde intenso abitato da cozze, alghe, granchi e lumache. Poi creava un doppio strato di cinta per la sua piscina naturale. Lavorava sodo. A volte finiva l’opera quando dovevamo rientrare a casa.
Quand’ero piccolo il maricello era fatto apposta per me. Ero felice di entrare in quella conca paterna, guazzavo beato e protetto; ero convinto che il suo stesso nome, maricello, fosse derivato dal mio, o viceversa. Però quando diventai appena più grande e andai in mare aperto, mio padre continuò la sua edilizia marina, con la stessa lena, anche senza un beneficiario visibile.
Ritrovò una motivazione affettiva a costruire piscine provvisorie quando arrivarono i suoi nipoti, e poi i miei figli. Fece maricelli per loro, a volte anche a due piazze, per evitare conflitti interportuali tra i piccoli usufruttuari. E continuò nella sua arte di costruzione marittima anche quando loro erano grandi e lui aveva ormai varcato l’età più grave. Arrivava al mare e si metteva all’opera con solerzia, come se avesse un contratto da rispettare con la capitaneria di porto o chissàchi. O come se fossero degli ex voto per Nettuno, per Afrodite o per qualche ignota divinità marina. Continua a leggere