Segnalazione di M. Orlando
A livello ecclesiale, dopo la vittoria di Bolsonaro, cosa rimane? Una situazione molto seria per la Chiesa conciliare
di Matteo Orlando
In Brasile alcuni leader cattolici si sono già mostrati preoccupati per ciò che potrà avvenire dopo l’ascesa al potere del 63enne Jair Bolsonaro, eletto alla presidenza dell’enorme paese sudamericano con il 55 percento dei voti il 28 ottobre scorso.
Il parere più impegnativo lo ha espresso il potente segretario della Cnbb (la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile).
“La Conferenza episcopale è preoccupata perché le parole verso gli indigeni sono state troppo forti: abbiamo una grande preoccupazione per il futuro dei popoli indigeni”, ha sostenuto monsignor Leonardo Steiner. “Siamo preoccupati anche per le parole rivolte ai Quilombole, che sono i discendenti degli schiavi che sono fuggiti all’interno del Paese al tempo della schiavitù, e anche per le parole che sono state pronunciate nei riguardi di alcuni partiti … Vediamo se adesso queste parole diventano un’azione o rimangono soltanto parole al vento. Ma la preoccupazione c’è, sì, perché siamo stati sempre accanto ai popoli indigeni, ai Quilombole, ai poveri. Aspettiamo che abbia rispetto per i più poveri, per i brasiliani che a volte non riescono a partecipare, ad avere un’opportunità nella società brasiliana”.
Ma ad Haddad, che è andato pure nelle chiese per affermare che il suo programma governativo includeva, a suo dire, l’agenda proposta da Papa Francesco, che mira a “rafforzare la democrazia, la protezione dell’ambiente e la questione sociale”, tutto questo non è bastato.
E quindi, a livello ecclesiale, dopo la vittoria di Bolsonaro, cosa rimane? Una situazione molto seria per la Chiesa cattolica.
Intanto, come spiega Vicente Montesinos, rimangono delle crepe vistose tra i vescovi e il clero. Diversi sacerdoti, infatti, hanno sostenuto il candidato del Psl, poi vincente, ma hanno subito delle conseguenze: da quelle più semplici (l’invito sistematico a tacere da parte di alcuni vescovi) a quelle più drastiche (padre Cleidimar Moreira, dopo aver dichiarato il suo voto per Bolsonaro, ha ricevuto la minaccia di “pena canonica” dal suo vescovo).
Dopo la scelta di Bolsonaro si è aperta anche una crepa tra il clero e i laici cristiani. Mentre i primi hanno avvertito il voto all’estrema destra come un tradimento verso il “messianismo di Lula”, il popolo, votando Bolsonaro, si è come ribellato all’esperienza della Teologia della Liberazione (che predicava, ad un popolo impreparato, la vicinanza del cristianesimo al socialismo, la lotta, anche armata, a favore degli indigeni e degli svantaggiati, contro il capitalismo e il colonialismo che li opprimerebbe), ideologia, più che teologia, che da decenni attanaglia il Brasile.
Nel 2018, lo sviluppo multimediale e la prospettiva di un progresso economico, ventilata da un governo di destra, ha come svegliato i brasiliani e li ha improvvisamente resi immuni al virus del catto-comunismo. Ma un altro virus si aggira attorno al cattolicesimo carioca: quello dei sempre più potenti gruppi evangelici e pentecostali.
Se il Brasile è il più grande paese cattolico del mondo, come spiega John L. Allen Jr., con una popolazione cattolica di oltre 170 milioni (il 70% del totale nazionale), tuttavia nel giro di pochi anni i Pentecostali e gli Evangelici hanno conquistato il 30% dei brasiliani.
Dal 1969, da quando gli Stati Uniti decisero, come scrive Lucía Etxebarria, che la Chiesa cattolica era rivoluzionaria e consigliarono di contrastare la sua pericolosa influenza con quella di altre chiese protestanti, più legate ai loro interessi, e dopo la creazione da parte dell’Amministrazione Reagan (nell’aprile del 1981) dell’Istituto di Democrazia e Religione per integrare tutte le chiese evangeliche e finanziarle in America Latina, gli evangelici si sono diffusi enormemente “perché gli Stati Uniti li pagavano”.
Lo stesso neo presidente Bolsonaro, che è cattolico, è molto vicino agli evangelici ed ha trovato in loro i suoi principali sostenitori. E lui spesso ricambia partecipando a numerosi eventi religiosi. Domenica 4 novembre ha accompagnato un servizio di culto presso la Igreja Batista Atitude di Barra da Tijuca, un quartiere nobile nella zona ovest di Rio de Janeiro. Nel suo discorso, Bolsonaro ha attribuito a Dio la sua elezione, si è inginocchiato, pregato e ha posato per le foto con il pastore Josué Valandro Jr.
“Se penso a quattro anni fa, quando ho deciso di candidarmi alla presidenza, senza risorse, senza feste, senza tempo in TV, con molti media contro le nostre proposte, e penso a quanto è successo c’è solo una spiegazione: è stato Dio a decidere”, ha detto. Accanto a sua moglie, Michelle Bolsonaro, il presidente eletto ha ringraziato Dio per essere sopravvissuto all’attentato del 6 settembre scorso. La sua condotta è stata simile a quella che aveva tenuto sabato 3 novembre nel programma del pastore Silas Malafaia, mostrato su TV Bandeirantes. Inoltre, la Assembleia de Deus Vitória em Cristo, a Rio de Janeiro, è stato il luogo in cui Bolsonaro ha fatto il primo discorso, fuori dai social, dopo essere stato eletto.
Twitter, come accade per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è lo strumento preferito da Bolsonaro che, attraverso questo social ha scritto (il 1° novembre) che cambierà l’ambasciata brasiliana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme e digitato (il 2 novembre) che “per lungo tempo le nostre istituzioni di insegnamento sono state prese da ideologie dannose e con inversione di valori, persone che odiano i nostri colori e l’Inno. Alzare una bandiera brasiliana non è legato alla politica, ma all’orgoglio di essere brasiliano e alla speranza di tempi migliori”.
Il processo elettorale brasiliano, terminato da pochi giorni, sarà rilevante non solo per il Brasile. Con Bolsonaro non ci saranno più soldi dello stato brasiliano per sovvenzionare tutte le azioni dei partiti di sinistra in America Latina e, di conseguenza, per gonfiare la sinistra in tutto il mondo. E, in Italia, ci si augura che ci restituisca un noto terrorista…
Sul versante della geopolitica ecclesiale mondiale, mentre il Santo Padre Francesco è notoriamente riluttante a farsi schierare tra i partiti contendenti, specialmente nella sua nativa America Latina, e non gli piace l’idea della Chiesa, o lui personalmente, manipolati per ottenere un guadagno politico, è anche vero che probabilmente Bolsonaro non è il capo di stato che il Papa si aspettava per i grandi vicini di casa della sua Argentina. Inoltre Bolsonaro, che vuole sfruttare commercialmente l’Amazzonia, non è sulla stessa lunghezza d’onda del pontefice della Laudato Si’, del Successore di Pietro che il prossimo anno ha convocato uno speciale Sinodo dei Vescovi nella regione pan-amazzonica per concentrarsi anche sui temi della conservazione e della sostenibilità. Ancora, l’atteggiamento di Bolsanaro nei confronti degli immigrati, delle persone indigene, della comunità Lgbt, dei poveri, non è in linea con il pensiero papale.
Tuttavia ci sono molte affinità su altri temi. Bolsonaro ha firmato, prima delle elezioni, un impegno con la Chiesa cattolica per non legalizzare l’aborto (in Brasile l’aborto è consentito solo in caso di stupro, rischio per la madre o grave malformazione del feto) e la droga, per difendere la famiglia, l’innocenza dell’infanzia nelle scuole, la libertà di religione.
La vittoria di Bolsonaro, infine, non solo abbatte la sinistra brasiliana e latinoamericana, ma rafforza l’asse opposto: quello del nuovo Brasile che unisce le forze con gli Stati Uniti di Trump, l’Ungheria di Orban, la cattolicissima Polonia, l’Italia di Salvini e Di Maio e altri paesi europei dove stanno crescendo forze anti sistema.