A Torino i conciliari rifanno il Catechismo. E passano dall’astensione dal peccare alla “fedeltà” sodomitica…
La diocesi di Torino “riscrive” il Catechismo aprendo all’amore fra le persone dello stesso sesso
«Arrivano i piemontesi»: a quasi 150 anni dalla conquista militare di Roma, un altro assalto parte simbolicamente da Torino alla conquista del cuore della cattolicità.
Si tratta della piena legittimazione nella Chiesa delle relazioni omosessuali, un cambiamento del Catechismo che estende i suoi effetti ben oltre la sfera sessuale.
Alla fine di aprile la diocesi di Torino ha organizzato un ritiro in convento per persone omosessuali. L’obiettivo? Dare lezioni di fedeltà. Potrebbe sembrare una cosa positiva dal punto di vista della morale cattolica, in realtà è esplosiva. «L’esperienza dell’amore fedele di Dio è un modo per mettere ordine nelle relazioni disordinate, omosessuali o eterosessuali che siano», ha spiegato il gesuita padre Pino Piva, uno dei relatori del ritiro. È la negazione di quanto affermato dal catechismo della Chiesa per cui sono proprio «gli atti omosessuali» ad essere «intrinsecamente disordinati». La fedeltà non può far diventare buono uno stile di vita intrinsecamente disordinato. In gioco non c’è il giudizio morale su certi comportamenti, ma la dottrina della Creazione e l’esistenza di un ordine naturale stabilito da Dio. Uno dei pilastri della fede.
La diocesi di Torino ha in pratica riscritto il Catechismo, dando corpo a un movimento internazionale che sta intensificando la sua pressione, come del resto l’allora cardinale Joseph Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva già previsto nel 1986: «Oggi si legge nella Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali – un numero sempre più vasto di persone, anche all’interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali». Ratzinger invitava tutti i vescovi della Chiesa cattolica a «far in modo che le persone omosessuali affidate alle loro cure non siano fuorviate da queste opinioni, così profondamente opposte all’insegnamento della Chiesa». Torino ha deciso altrimenti. Il ritiro in convento è stato organizzato alla chetichella e se ne è saputo solo a cose fatte, per evitare quanto accaduto l’anno scorso, quando l’arcivescovo Cesare Nosiglia bloccò l’iniziativa parlando di un equivoco sulle intenzioni; allo stesso tempo però esprimeva pieno apprezzamento per il promotore dell’iniziativa, don Gianluca Carrega, il cui pensiero «omosessualista» è molto chiaro. E infatti, non solo don Carrega è rimasto al suo posto, ma ha alla fine organizzato il suo ritiro in convento. Stavolta l’arcivescovo Nosiglia non ha sentito neanche il bisogno di giustificare quanto accaduto.
In effetti in un solo anno molte cose sono maturate e la diocesi di Torino sa di poter contare su un ampio sostegno in Italia e all’estero. Diversi vescovi in Germania ed Austria, ad esempio, stanno prendendo posizione a favore della benedizione in chiesa delle coppie dello stesso sesso. In febbraio abbiamo assistito alla grande operazione Sodoma, dal titolo del libro scritto dal sociologo francese Frédéric Martel: interviste a decine di cardinali e vescovi per concludere che una grande fetta di sacerdoti cattolici sono omosessuali, e che quindi sarebbe giusto un coming out generale. Inutile dire che Martel ha potuto trovare porte spalancate in Vaticano, e non fa mistero di incontri ripetuti con padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e «una delle eminenze grigie» di questo pontificato. Non è dunque un caso che più tardi sia stato proprio Martel ad anticipare con un tweet che all’inizio di aprile il Papa avrebbe incontrato una delegazione internazionale Lgbt con previsto un discorso «storico». All’ultimo momento discorso e incontro sono stati annullati, ma la delegazione Lgbt ha potuto incontrare almeno il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. Del resto poche settimane prima, papa Francesco aveva incontrato, con tanto di foto ricordo, il Consiglio pastorale dei cattolici Lgbt+ della diocesi di Westminster, direttamente inviati dal primate inglese cardinale Vincent Nichols.
Fatti e gesti eloquenti, accompagnati anche da una martellante insistenza del quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, che della legittimazione delle unioni gay ha ormai fatto una bandiera e non passa settimana che non la proponga. Si dà spazio alle esperienze positive di amore omosessuale, si sprecano interviste a teologi che riscrivono la Bibbia, si insiste sulla presunta emarginazione patita da sempre nella Chiesa e sull’omofobia che accomuna molti cattolici; si valorizzano le iniziative pastorali come quelle di Torino e si oscurano quelle nel solco dell’insegnamento della Chiesa, come quella di Luca di Tolve, autore del libro-testimonianza Ero gay.
E ora, in maggio, le iniziative cattoliche pro-gay esploderanno intorno alla Giornata mondiale per la lotta all’omo-transfobia. In Italia c’è già tutto un fiorire di veglie di preghiere per le vittime dell’omofobia e della transfobia: da Roma a Firenze, da Genova a Vicenza, da Bologna a Ragusa è già partita la macchina della propaganda, perché come già accaduto negli anni passati si tratta di occasioni importanti per cambiare l’atteggiamento dei cattolici nei confronti dell’omosessualità. E di anno in anno aumentano diocesi e parrocchie che aderiscono o che comunque danno ospitalità. I «piemontesi» marciano sicuri della vittoria.
fonte – http://www.ilgiornale.it/news/cronache/relazioni-gay-lecite-se-fedeli-cos-chiesa-vuole-sdoganare-1689209.html?mobile_detect=false
Una quinta colonna, dei biechi devozionisti, mi sussurra, dietro la mole antonelliana, il carpito incipit di nuova pastorale : pedicare licet, sed semper fideles, est hic tutum culum aperire vobis…….
G.Vigni