La morte di Alfie e la nostra coscienza

UN’OPINIONE
di David Nieri
La morte di Alfie e la nostra coscienza
Fonte: Franco Cardini
Alla fine non ce l’ha fatta, il povero Alfie. Si è spento la notte di sabato 28 aprile, a pochi giorni dal suo secondo compleanno. Personalmente, ci ho sperato fino alla fine. Ho sperato che il piccolo continuasse a respirare, quindi a vivere, dopo che la “spina” dei supporti vitali era stata staccata qualche giorno prima. Ho sperato che almeno la Corte europea si pronunciasse a favore del trasferimento al “Bambino Gesù”, dopo che il governo italiano aveva concesso ad Alfie la cittadinanza italiana per consentirgli l’espatrio. Ho sperato infine nel miracolo – noi cattolici, sapete, ci crediamo – che annichilisse giudici e scienziati d’Oltremanica che intendono sentenziare sulla “vita degna di essere vissuta” stabilendone il confine come una questione di diritto, magari ponendosi pure contro il volere dei genitori – per un bambino di meno di due anni, l’unico possibile. Ma in terra d’Albione – quella del dio degli inglesi in cui non credere mai, e infatti io non ci credo – funziona così: se non c’è accordo tra medici e famiglia, la legge prevede l’intervento di un giudice. Nel caso in questione, i medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool avevano già dichiarato, lo scorso dicembre, di aver esaurito tutte le opzioni a disposizione per salvare il piccolo, decidendo quindi di sospendere la ventilazione artificiale che lo teneva in vita. Decisione alla quale ovviamente Tom e Kate Evans, i due giovanissimi genitori, si erano opposti, indicando tra le eventualità di cura anche il trasferimento al “Bambino Gesù”. Niente di tutto questo è accaduto. Come nel triste caso di Charlie Gard, la fine della vita di un bambino è stata sentenziata per legge, e a niente sono serviti i ripetuti appelli – anche da parte della Santa Sede – per tentare di salvare il bambino. Continua a leggere

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La morte cerebrale è un trucco della cultura della morte

Segnalazione di Redazione BastaBugie

Il criterio della morte cerebrale fu inventato cinquant’anni fa (1968) dall’università di Harvard come scusa per giustificare i primi trapianti d’organi vitali
di Alfredo de Matteo

(LETTURA AUTOMATICA – con voce umana)
Quest’anno ricorrono i cinquant’anni (1968) della prima definizione del criterio di morte cerebrale, ad opera di una commissione medica creata ad hoc dall’università di Harvard per giustificare eticamente i primi trapianti d’organi vitali. Sull’Avvenire del 4 febbraio è uscita un’interessante intervista, a firma di Lucia Bellaspiga, alla ricercatrice del Centro neurolesi di Messina, Silvia Marino.
L’occasione è un meeeting internazionale che si è svolto a Milano il 2 febbraio scorso sui disordini della coscienza, organizzato dalla Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta.
La neurologa Marino si occupa da diversi anni di scandagliare i residui più nascosti della coscienza attraverso le tecniche di neuroimaging e di studiare le reazioni del cervello stimolato da suoni, odori ed immagini. Ai pazienti apparentemente privi di contatto con il mondo esterno e immobili da mesi o anni nel loro letto, spiega nell’intervista la ricercatrice, somministriamo stimoli di ogni genere, soprattutto grazie alla fondamentale collaborazione dei familiari. Mentre ciò avviene, attraverso la risonanza magnetica funzionale possiamo vedere se si attivano le aree del cervello del paziente.
Abbiamo così studiato 27 persone con diagnosi di minima coscienza e 23 in stato vegetativo, e tra questi ultimi ben 10 sono passati ad uno stato di minima coscienza. Pertanto, ribadisce la neurologa, la parola irreversibile applicata ai disturbi della coscienza, stato vegetativo compreso, non è più utilizzabile. Continua a leggere

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