Media contro popolo

QUINTA COLONNA
di Marcello Veneziani
Media contro popolo
Fonte: Marcello Veneziani
Cara Lilli Gruber, ma come possono fidarsi gli italiani di lei se scrive suSette un commento con un titolo così: “Tutti i populisti mentono. Sono pericolosi e opportunisti”? E il titolo risponde fedelmente allo svolgimento. Sa che sta offendendo i tre quarti dei suoi spettatori?
Come il 60% degli italiani mi sento in questo momento, con tutte le riserve critiche che non nascondo, più dalla parte dei populisti che dei loro nemici. E non mi sento solo offeso dalla sua definizione, quanto ferito da italiano, da giornalista e da libero pensatore. Non userei mai un’affermazione del genere nemmeno per i peggiori nemici; distinguerei, non mi sentirei in possesso della verità. Non scommetto sulla riuscita di questo governo, lo dico ogni giorno. E mi sorprende che ad attaccare in quel modo sia proprio lei che è stata generosa coi grillini e i loro sponsor, al punto che spesso – anche l’altro giorno con l’imbarazzante, sconclusionato, sproloquio di Dibba – ha dato l’impressione di essere Grilli Uber. Non le rinfaccio l’incoerenza, sono fatti suoi, so che a lei i grillini vanno bene se pendono a sinistra, se invece si alleano a Salvini diventano cattivi. C’è gente che divide ancora l’umanità in fascisti e antifascisti, e si perde la realtà, il presente, il mondo, 70 anni di storia, comunismo incluso.
Tramite lei, in realtà, me la prendo coi Media, la Stampa e la Tv che stanno offrendo uno spettacolo disgustoso e desolante: gli italiani da una parte e loro compatti dalla parte dell’establishment. Non mi sarei aspettato il contrario ma almeno una varietà di posizioni e la capacità di distinguere e analizzare; qualcuno equidistante, qualche altro che comprende le ragioni della gente, qualcuno che riconosce pezzi di verità nell’avversario. No, niente, un esercito cinese, monolitico, monotono. Come in guerra. Continua a leggere

Condividi

L’identità esiste (ma c’è chi lo nega)

di Ernesto Galli della Loggia
L’identità esiste (ma c’è chi lo nega)
Fonte: Corriere della Sera
Ogni volta che decide di suicidarsi la Sinistra sa che può sempre contare su chi è pronto ad aiutarla a infilare il colpo in canna: sono gli intellettuali della sua parte. I quali a propria volta sanno che qualunque cosa dicano o facciano possono sempre contare sul masochistico silenzio della loro vittima. È questa la prima riflessione che viene alla mente leggendo il lungo articolo di Tomaso Montanari «L’identità inventata degli italiani» (Il Fatto, 10 settembre). E subito dopo non si può non pensare che su certe materie in Italia ogni discussione è impossibile dal momento che invece di sforzarsi di capire le ragioni dell’altro ognuno ripete le proprie come un mantra per il pubblico degli aficionados. La tesi di Montanari è perfettamente espressa dal titolo dell’articolo: l’identità italiana non esiste. Lo stesso termine identità è a suo avviso un termine maledetto, servendo solo ad alimentare «il veleno della retorica identitaria» e quindi a giustificare il «noi» contro «loro», le dottrine del «respingimento», «i campi di concentramento in Libia», lo «straniero come nemico» nonché ovviamente «i paradigmi culturali (…) connessi ai fantasmi del nazionalismo nazifascista», il «prima gli italiani» e via così sermoneggiando. Tutte infamie imputabili per l’appunto al famigerato concetto di identità. Continua a leggere

Condividi

Orbán all'Europarlamento: "Non accettiamo minacce e ricatti. Non saremo patria di immigrazione"

Il premier ungherese interviene davanti alla plenaria di Strasburgo “per difendere l’Ungheria che da mille anni è membro della famiglia europea”

STRASBURGO – Dopo aver anticipato parzialmente il suo discorso con diversi post sul proprio profilo Facebook, il premier ungherese Viktor Orbán ha parlato oggi a Strasburgo al Parlamento europeo nell’audizione sul rapporto Sargentini in cui si deciderà se sanzionare o meno Budapest sulla violazione dello stato di diritto. “Voi vi siete fatti già un’idea su questa relazione, e il mio intervento non vi farà cambiare opinione, ma sono venuto lo stesso. Non condannerete un governo, ma l’Ungheria che da mille anni è membro della famiglia europea. Sono qui per difendere la mia patria”, ha detto il primo ministro ungherese, che ha difeso il proprio operato soprattutto per il largo consenso che il suo governo riscuote in patria. E proprio confortato dal consenso interno, Orban non ha avuto problemi a schierarsi direttamente contro le istituzioni europee: “L’Ungheria sarà condannata perché ha deciso che non sarà patria di immigrazione. Ma noi non accetteremo minacce e ricatti delle forze pro-immigrazione: difenderemo le nostre frontiere, fermeremo l’immigrazione clandestina anche contro di voi, se necessario”.  Il leader di Fidesz, che a Bruxelles fa parte della famiglia del Partito popolare europeo, ha affermato come le misure sull’immigrazione siano state prese sulla base della volontà espressa dal popolo ungherese: “Siamo noi a difendere le nostre frontiere e solo noi possiamo decidere con chi vivere. Abbiamo fermato centinaia e migliaia di migranti clandestini e abbiamo difeso l’Ungheria e l’Europa. Gli ungheresi hanno deciso che la nostra patria non sarà un paese di immigrazione”. Continua a leggere

Condividi

Il futuro del Sovranismo

di Roberto Siconolfi
Il futuro del Sovranismo
Fonte: Ereticamente
Tutto il movimento politico-ideologico legato allo schieramento sovranista/populista si muove in un contesto e su una serie di direzioni precise. Proseguendo per questa strada nuovi interrogativi vengono fuori, su scelte cruciali alle quali si può rispondere sia con l’alternativa secca oppure con l’affermazione di un’ondata ideologico-politica pluraleche pur avendo un’asse centrale ben distinto, contiene “diverse” se non addirittura “contrastanti” opzioni. Per quanto riguarda il contesto,partendo dall’aspetto più evidente, bisogna prendere atto della prosciugazione definitiva dell’area politica di sinistra ma più precisamente del marxismo. La morte di Domenico Losurdo incarna una fine simbolica di tutto il marxismo “intellettualmente onesto” col quale vale la pena ancora confrontarsi e col quale si possono trovare anche punti di convergenza per battaglie politiche molto concrete.  Stesso discorso può valere per determinate soggettività politiche, esponenti di quell’area. Tuttavia, bisogna prendere atto che il marxismo è completamente finito, e non per motivi di chissà quale portata storica. Esso ha raggiunto il suo punto minimo, lo“0” della sua parabola discendente. Continua a leggere

Condividi

Tra razzismo e anti-razzismo muoiono le identità

di Alessandro Soldà Cristofari
Tra razzismo e anti-razzismo muoiono le identità
Fonte: oltre la linea
Partiamo da un caso di cronaca: una ragazza statunitense pubblica sul suo profilo social alcune foto in cui lei indossa un bell’abito da sera ad una festa (il cui dress code richiede una certa eleganza).
Accanto ai complimenti sotto alle fotografie appaiono però alcuni commenti più critici, diciamo pure che viene insultata: la sua colpa è quella di indossare un vestito tradizionale cinese, simbolo dell’emancipazione femminile, senza sapere il significato, mancando di rispetto all’intero popolo cinese.
E per non farci mancare niente, viene pure accusata di appropriazione culturale e di piegare un abito simbolico al puro edonismo simbolo dalla società capitalista e consumista americana. Alla fine, nonostante l’attacco vile e senza senso, quelle foto rimangono sul suo profilo: perché quel vestito le piace, e non sarà certo quella cattiveria gratuita sui social a costringerla a cambiare idea.
Di fronte a questa vicenda si rimane perplessi; da parte sua non c’è stata alcuna palese o quanto meno volontaria mancanza di rispetto verso la Cina, vivendo in una società in cui il consumo è la cultura prevalente a discapito del retaggio tradizionale e storico anteriore – che è quello dei singoli e rispettivi popoli-, ed è dunque normale non essere a conoscenza che certi accessori e oggetti rimandino ad un evento o ad una vicenda di fondamentale e storica importanza per una nazione, com’è il caso dell’abito della ragazza. Continua a leggere

Condividi

Guareschi, del '68 se ne fece un baffo

di Marcello Veneziani

Come oggi (ieri per chi legge, n.d.r.), cinquant’anni fa, nel fatidico ’68, se ne andò all’altro mondo Giovannino Guareschi. Lasciò il mondo piccolo che aveva descritto come pochi, per raggiungere il mondo grande, quello dove abitava quel Signore che nella sua Casa dava consigli a un suo focoso dipendente in terra, don Camillo. Così almeno racconta Guareschi.

Se ne andò presto, Giovannino, a 60 anni, dopo una vita travagliata, tra campo di concentramento, carcere sotto il fascismo e sotto l’antifascismo, più una caterva di libri tradotti in tutto il mondo, di film assai popolari che rappresentarono quell’Italia favolosa del dopoguerra, e di avventure a mezzo stampa, come il suo impertinente Candido che ebbe un ruolo decisivo nella disfatta del fronte popolare socialcomunista alle elezioni del ’48.
Giovannino morì il 22 luglio del ’68 ma fece in tempo a scrivere il suo ultimo don Camillo dedicato ai giovani d’oggi. Il libro uscì postumo e segnava lo stridente contrasto tra il vecchio comunista Peppone (che l’anticomunista Guareschi aveva reso simpatico con la sua prorompente umanità), il coriaceo don Camillo e un giovane contestatore zazzeruto, che viaggiava in moto con borse borchiate e sfrangiate e un giubbotto nero con teschio e scritta “Veleno”. Che diventa per Guareschi il soprannome del ragazzo e anche la metafora della Contestazione. Giungono in paese a Brescello anche “i cinesi” che sconvolgono le geometrie ideologiche dell’italo-stalinista Peppone e spiazzano pure quelle religiose del parroco. Guareschi collega la contestazione all’avvento della società dei consumi. Per lui l’antagonismo tra i due fenomeni è solo occasionale, apparente, non sostanziale. Il consumismo divora il piccolo mondo antico e le vecchie fedi, ma cattura Peppone che lascia la bici e gira in spider rossa. Il consumismo è l’habitat del sessantotto. Continua a leggere

Condividi

L’avventura di un povero cristiano

Risultati immagini per Fontamaradi Roberto PECCHIOLI
L’avventura di un povero cristiano fu l’ultima opera letteraria di Ignazio Silone, l’autore di Fontamara. Uscita con grande successo nel fatidico 1968, racconta i convulsi mesi romani e napoletani di Pietro di Morrone, il monaco asceso al papato nel 1294 con il nome di Celestino V dopo lotte intestine di una chiesa corrotta, tornato dopo pochi mesi al suo eremo tra le montagne della Maiella a seguito dell’abdicazione che Dante chiamò “il gran rifiuto”. Silone intese rappresentare nel suo conterraneo abruzzese l’opposizione tra il singolo e la Chiesa, più ancora la divaricazione irriducibile tra l’uomo onesto e il potere.
Avventura quotidiana di poveri cristiani è diventata seguire i percorsi del cattolicesimo in disarmo. Credevamo che nulla potesse più stupirci di quanto esce dalla bocca di esponenti della gerarchia, ma ci sbagliavamo. Nelle ultime settimane hanno suscitato nuovo turbamento e rinnovato sconcerto due episodi significativi. Il primo è la telefonata tra Gianni Vattimo, filosofo marxista, conclamato omosessuale, alfiere del nichilismo postmoderno nell’insidiosa forma del cosiddetto pensiero debole, e l’inquilino di Santa Marta Jorge Mario Bergoglio. Tra i due, il cui approccio è stato forse favorito dalla comune condizione di coscritti della classe 1936, il più concreto è stato il pensatore torinese, il quale, stando alle ricostruzioni, avrebbe proposto al successore (o meglio, all’impostore, n.d.r.) di Pietro di mettersi a capo di una sorta di internazionale contro lo strapotere del denaro. Vasto programma, lodevole e largamente condivisibile, ma certamente distante dalla missione religiosa. Continua a leggere

Condividi

Diciamolo: i sovranisti hanno ragione e gli insulti non li fermeranno

di Marcello Foa
Diciamolo: i sovranisti hanno ragione e gli insulti non li fermeranno
Fonte: Marcello Foa
E dire che fino a poco tempo fa, gli intellettuali mainstream tentavano di screditare i sovranisti come pericolosi neofascisti. Oggi possiamo dirlo: i sovranisti avevano ragione e non c’è insulto che riuscirà a fermarci, per una ragione tanto semplice quanto inaspettatata: gli elettori stanno distruggendo scheda dopo scheda quel costrutto neoglobalista e transnazionale che anni di incessante propaganda hanno tentato di trasformare in un Destino ineludibile. Lo confesso: era difficile immaginarlo in queste proporzioni. La campagna mediatica (ma non solo) lanciata dall’establishment per fermare i populisti in ogni Paese (dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dall’Austria all’Italia) è stata di una virulenza senza precedenti ed è destinata a durare. Pensate solo alle ultime vergognose accuse di Repubblica che ha etichettato come “rosso-bruni” molti intellettuali rei di essere favorevoli al governo legastellato e che accusa Matteo Salvini di essere un nazista. Fango, spazzatura, nient’altro che spazzatura.
Trump negli Stati Uniti ha subito lo stesso trattamento. Eppure la diffamazione non fa più presa, nemmeno se è strillata dal 90% dei media; anzi, produce l’effetto contrario. La popolarità del presidente degli Stati Uniti è altissima, la Lega passa di vittoria in vittoria e i 5 Stelle hanno schiantato a sinistra quel Pd per cui tifano quasi tutti i talk show. Tutto questo accade perché i cittadini sono stufi di non essere più padroni del proprio destino e non si fanno più incantare dalla narrativa, inzuppata di spin, volta a creare l’impressione che lo Stato sia una reliqua del passato e che il mondo sarà ineluttabilmente multiculturale, multietnico, governato da democrazie virtuali ma controllato di fatto da élite autonominatesi e prive di legittimità popolare. Altro che reliqua, lo Stato è più vivo che mai! Continua a leggere

Condividi

Putin intervistato dalla TV austriaca ORF

Risultati immagini per Putindi Vladimir Putin – 05/06/2018
Fonte: Aurora sito
In vista della visita in Austria, il Presidente della Russia ha risposto alle domande del presentatore dell’ORF austriaca, Armin Wolf.
Armin Wolf, presentatore dell’Austrian Broadcasting Corporation (ORF): Signor Presidente, la sua prima visita all’estero vi porta in Austria. Si tratta di una sorta d’incentivo per una politica benevola nei confronti della Russia da parte del governo austriaco, che si scaglia contro le nuove sanzioni dell’UE e non ha espulso diplomatici russi sul “caso Skripal”?
Presidente della Russia Vladimir Putin: Non credo che uno Stato europeo così rispettato come l’Austria abbia bisogno d’incentivi. Abbiamo a lungo avuto relazioni buone e profonde con l’Austria. L’Austria è il nostro partner tradizionale e affidabile in Europa. Nonostante tutte le complicazioni nel corso degli anni, il nostro dialogo nel campo della politica, della sicurezza e dell’economia non è mai stato interrotto. Il nostro commercio con l’Austria è cresciuto del 40,5% lo scorso anno. Rispettiamo la posizione dell’Austria e il suo status neutrale. La Russia, ovviamente, è uno dei garanti di questo status, avendo preso parte alla stesura del trattato di Stato. Collaboriamo con la Repubblica austriaca in vari settori: nell’economia, come ho detto, in politica e sicurezza. Nell’economia, collaboriamo in vari settori. Non solo energia, anche se vorrei dire di più su di esso in seguito, ma anche nella costruzione di aeromobili, sicurezza aerea e ingegneria idroelettrica. Sempre più capitale austriaco viene investito in Russia. Lo consideriamo un segno di fiducia nella politica economica perseguita dal governo della Federazione Russa. Adottiamo importanti progetti. Grazie alla nostra cooperazione, Baumgarten, e quindi l’Austria, è diventato il più grande hub del gas in Europa. Abbiamo molti interessi comuni e simili, quindi fummo felici di dare il benvenuto al cancelliere federale Kurtz in Russia, a febbraio. È da queste considerazioni che la mia visita in Austria è in preparazione e spero che si svolga presto. Continua a leggere

Condividi

L’ascesa di Orban in Europa: l’Ungheria come modello alternativo

di Lorenzo Vita
L’ascesa di Orban in Europa: l’Ungheria come modello alternativo
Fonte: Gli occhi della guerra
Viktor Orban è diventato, negli anni, uno dei più importanti leader d’Europa. E adesso, il suo messaggio, inizia a penetrare in tutto il continente.
La vittoria di Janez Jansa in Slovenia, alleato di Orban, è un segnale inequivocabile. Non tanto nei numeri della vittoria elettorale, ma nel significato. Il gruppo Visegrad, quello di cui fa parte l’Ungheria, ha un nuovo alleato a Lubiana.
E i meriti di questa vittoria sono in larga parte da assegnare al premier ungherese che ha saputo non soltanto cavalcare l’ondata di protesta (in particolare sulla questione migranti), ma anche penetrare all’interno del dibattito politico. Messaggi chiari, parole semplici, significati profondi. Come l’ultimo appello rivolto al popolo sloveno “Votate per la sopravvivenza della nazione”.
I media e Orban in Slovenia Continua a leggere

Condividi
1 2