Berlusconi è in agonia, ma rottamarlo ora è una missione (quasi) impossibile

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Berlusconi è in agonia, ma rottamarlo ora è una missione (quasi) impossibile

Berlusconi, la pietra d’inciampo per l’accordo tra Lega e Cinque Stelle. Invecchiato, in un’Italia che non è più quella di Mediaset, indeciso. Il vero dramma del Cav va in scena in questi giorni. (di Alessandro GiuliLEGGI)

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Il profilo geopolitico della sudditanza italiana

Il profilo geopolitico della sudditanza italiana
di Paolo Borgognone 
Fonte: Gefira

1) Quando (e come) è iniziato lo “sganciamento” della sinistra italiana dalle masse popolari?
A sinistra, in quanto partito dei ceti borghesi, illuministi e proprietari sin dalla fine del XVIII secolo non si costituisce come riferimento delle masse popolari, con cui è anzi in conflitto. La sinistra ha “esordito” sulla scena europea con il genocidio della Vandea, in cui le masse popolari considerate tradizionaliste furono sterminate dai giacobini… Nel XIX secolo la sinistra fu, in Italia, il partito di riferimento della nuova borghesia industriale e il socialismo non nacque, originariamente, come ideologia di sinistra ma comunitaria. La sinistra incontrò successivamente, diciamo all’inizio del XX secolo, le masse popolari e fu l’interprete della fase dialettica del capitalismo ma col Sessantotto, momento fondante della nuova sinistra come partito della modernizzazione radicale dei costumi e dei consumi borghesi, la convergenza tra sinistra e popolo, tra intellettuali progressisti e classi lavoratrici, era già nuovamente dileguata. Da lì in avanti, le strade degli intellettuali di sinistra europei e quelle dei ceti operai, lavoratori e subalterni si divisero irrimediabilmente, almeno dal punto di vista della precedente alleanza ideologica stabilita nelle fasi culminanti del trentennio glorioso del capitalismo fordista/keynesiano (1945-1975).
2) Perché la sinistra ha “abbandonato” gli ultimi e si è buttata sul carro del turbocapitalismo globale?
Perché la sinistra europea odierna è una forma di americanizzazione, un esempio lampante di “politica fashion” che guarda ai ceti agiati metropolitani, cosmopoliti, gay-oriented e con pretese intellettuali. Io credo che l’ideologia di riferimento della sinistra liberal e radical-chic, cioè il politically correct e la cultura della mobilità surmoderna, costituisca il versante sistemico del capitalismo globale. La democrazia liberale, cioè l’autogoverno dei ceti ricchi, è il modello politico che le classi dirigenti internazionali di “sinistra” proclamano, acriticamente, come una sorta di nuovo “paradiso in terra”. Ora, è ovvio che la democrazia liberale costituisca l’involucro politico migliore entro cui può svilupparsi il capitalismo odierno, finanziarizzato e digitalizzato. Per questa ragione, la democrazia liberale è anche il modello politico peggiore che le classi subalterne possano augurarsi perché in un contesto di liberalismo reale le istanze rivendicative, sociali, dei ceti lavoratori e subalterni non hanno alcuna possibilità di costituirsi né di trovare accoglimento presso i dominanti. La separazione tra la cultura di sinistra e le classi popolari è un fenomeno storico perfettamente in linea con il ciclo di riproduzione capitalistico odierno. Il capitalismo contemporaneo è infatti gauchiste, cioè animato da presupposti ispirati al principio della liberalizzazione dei costumi, dei consumi e dei desideri borghesi. La sinistra considera i diritti sociali dei lavoratori come un retaggio statalista e patriarcale di memoria “sovietica” e riconosce nella pseudo-cultura della mobilità la cifra degli odierni processi di “modernizzazione economica liberale” cui i partiti progressisti europei aderiscono convintamente. In Italia, il PD è il “partito liberale americano” ed è contento di esserlo. Ne prendo atto. Pace all’anima sua…
3) A chi giova / chi è dietro i tamburi dell’antifascismo in Italia (in assenza di fascismo)?
La narrativa dell’antifascismo in assenza di fascismo giova a quelle forze politiche, economiche, mediatiche e accademiche protese a cercare di puntellare i rapporti di forza e gli equilibri di classe esistenti nel regime del capitalismo liberale e della società di mercato. Nel 2018, in Italia, il mainstream ha riattivato i meccanismi politico-ideologici della strategia della tensione, questa volta in funzione antisovranista e, come del resto negli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso, anti-russa. L’Italia è infatti un Paese sconfitto e a sovranità limitata o inesistente, una sorta di colonia della Nato. L’Alleanza atlantica non può permettere in alcun modo uno slittamento della politica estera italiana in direzione filo-russa. Non poteva permetterlo negli anni Sessanta/Settanta del XX secolo e non può consentirlo ora. I destinatari delle politiche globaliste di strategia della tensione sono quei partiti e attori sociali che si collocano fuori dal mainstream e che intendono stabilire rapporti di distensione e collaborazione con la Russia. La Russia è infatti il principale avversario geopolitico e culturale del globalismo e chi cerca l’alleanza con la Russia, a destra come a sinistra, viene demonizzato dal mainstream e finisce sulla black list della Nato e della Ue.
4) Puoi riassumere chi c’è dietro – in breve – il M5S e suoi scopi?
Il M5S è il nuovo partito della sinistra globalista camuffato da comunità mainstream “anti-corruzione”. Dietro il M5S ci sono i ceti professionali della nuova economia digitale che lo hanno fondato e l’ideologia liberale che determina la società liquido-moderna. Il M5S è un partito neoborghese a base elettorale popolare, meridionale, che chiede assistenzialismo. Il M5S parla di lotta alla casta, ma a quale élite si riferisce quando i suoi portavoce alzano i toni sull’argomento? Non certo alle caste capitalistiche internazionali, ai signori della moneta emessa a debito, ai magnaccia dello sfruttamento del lavoro flessibile e precario e ai generali arcobaleno della Nato che fanno le guerre per esportare all’estero i miti di fondazione gay-oriented e metrosexual della società occidentale. Il leader formale del M5S, Luigi Di Maio, è un politico mainstream. Parla di “lotta ai vitalizi” dei parlamentari, un argomento che fa presa sul pubblico generalista teledipendente ma che non ha alcun impatto sull’economia reale dell’Italia e, contestualmente, va alla City of London a giurare fedeltà eterna al regime del capitalismo globalizzato. Inoltre, il M5S è un partito favorevole alle politiche di apertura delle frontiere all’immigrazione e, per questo motivo, si connota come un soggetto politico ulteriormente interno al mainstream ideologico liberale. Io credo che il M5S sia stato costituito dalla upper class transnazionale che determina i processi di ingegneria antropologica postmoderna come strumento di marketing politico e gatekeeper funzionale a intercettare il voto sovranista e a canalizzare lo spirito di ribellione dei penalizzati e delusi dalla globalizzazione in direzione di un partito liberal-globalista e “sintetico”, più o meno camuffato da interlocutore “antisistema” dei ceti deprivati e oppressi.
5) Esistono – al momento – forze politiche credibili in Italia che abbiano veramente interesse a tutelare gli interessi degli ultimi, dei più poveri, di quelli che una volta erano rappresentati dalla “sinistra”
In Italia ci sono partiti che predicano un certo sovranismo elettorale tutto da verificare nella sua efficacia alla prova dei fatti. Personalmente, ho apprezzato la svolta “nazionale” della Lega e giudico Matteo Salvini un politico molto più intelligente e preparato di come il mainstream di sinistra lo va raccontando. Tuttavia, la Lega resta un partito fondamentalmente liberista in economia e filosionista in politica estera, per cui intrappolato in tutta una serie di contraddizioni politico-antropologiche che ne depotenziano il messaggio di critica alla globalizzazione che talvolta veicola con buone capacità comunicative. Reputo inoltre un passo in avanti notevole della Lega rispetto al passato mainstream di questo movimento l’aver candidato importanti economisti critici dell’euro quale strumento di governo neoliberista dei mercati privati internazionali, come Alberto Bagnai e Claudio Borghi. Inoltre, la Lega ha compiuto un salto di qualità notevole a livello culturale cominciando e approfondendo il confronto con pensatori del calibro di Alain de Benoist e Aleksandr Dugin. Auspico che la Lega prosegua, in ambito metapolitico, su questa strada intrapresa, recependo integralmente la lezione di de Benoist e Dugin. A sinistra, invece, ho stima di Marco Rizzo, leader del Partito comunista. Non condivido l’approccio ideologico marxista-leninista integrale di Rizzo, ma giudico questo esponente politico l’oppositore più lucido, coerente e combattivo del regime del capitalismo liberale e della “società aperta” tra coloro i quali, in Italia, si richiamano all’eredità del comunismo storico novecentesco.
6) Puoi spiegare all’europeo medio cos’è e a cosa serve in Italia un organismo tipo UNAR?
L’UNAR è uno degli apparati pubblici di polizia del pensiero tesi a reprimere chi osa dissociarsi dalla religione unica e obbligatoria del cosmopolitismo di sinistra. È interessante notare come i governi liberali contemporanei agiscano per promuovere la dittatura del nuovo conformismo morale politically correct tarato sul “gusto” delle “giovani classi medie globalizzate” e sedicenti trendy, in regime contestuale di precariato economico per i ceti subalterni. Il caso italiano è in questo senso paradigmatico. Il PD ha infatti varato pressoché simultaneamente l’UNAR che istituisce il regime del conformismo morale e il “Jobs Act” che inchioda le future generazioni alla schiavitù del lavoro flessibile e precario. Il regime liberale contemporaneo agisce dunque su due versanti: nella cultura, promuove la nuova morale politically correct, disponendo anche sanzioni ad hoc per chi contesta o si oppone al nuovo moralismo di maniera. In economia, vara leggi che implementano il potere di arbitrio del capitale che si autoalimenta e autolegittima nel perimetro della “società aperta” in nome della retorica mainstream della “libertà del profitto”.
7) Vedi una soluzione al fenomeno dei “migranti” a breve termine?  A cosa servono e chi c’è dietro le ONG in questo business?
È chiaro che il business dell’immigrazione è estremamente vantaggioso per le classi superiori, per l’oligarchia, per i professionisti della new economy che possono usufruire, grazie al nuovo esercito industriale di riserva costituito dai clandestini, di un corposo abbassamento dei prezzi dei servizi postmoderni di cui sono avidi fruitori. L’immigrazione di massa è utile ai padrini e ai figliocci del regime del capitalismo liberale mentre i costi sociali di tali politiche di revoca delle frontiere territoriali nazionali vengono irrimediabilmente scaricati sui ceti popolari, coloro i quali con gli immigrati devono conviverci senza poter usufruire delle loro prestazioni di manovalanza poco o punto retribuita. Il tema, comunque, mi appassiona poco perché praticamente non vi sono, in Italia, a livello della politica “che conta”, partiti e movimenti che prospettano soluzioni credibili al problema. Alcuni Paesi europei, quelli del “Gruppo di Visegrad”, si sono mossi per tempo e, grazie alla loro indipendenza monetaria, hanno potuto varare politiche efficaci di contrasto ai flussi migratori di massa. L’Italia, invece, un Paese ricattato da Bruxelles e amministrato da un governo non sovrano, ha abbattuto le proprie frontiere interne esattamente come le classi imprenditoriali multinazionali europee le avevano chiesto. Inoltre, in Italia, i partiti di destra mainstream che si dicono anti-immigrazione non hanno ancora voluto capire che non si può essere liberali e liberisti ma contrari ai flussi migratori di massa poiché le migrazioni odierne, in entrata o in uscita dal Paese, sono un epifenomeno del capitalismo. Per cui, questi partiti saranno credibili quando capiranno che la sovranità nazionale di cui si riempiono la bocca in campagna elettorale non è una categoria storica compatibile con l’apertura delle frontiere dello Stato ai cosiddetti investitori multinazionali della new economy.
8) Citando la ormai famosa frase di Warren Buffett “c’è stata una lotta di classe e l’abbiamo vinta noi”, come definire la figura di papa Francesco (nota la minuscola) in questa lotta di classe? È corretto poter dire che questo papa ha assolto / assolve un compito utile per la “classe” di cui parla Buffett?
Bergoglio ha inserito Emma Bonino e Giorgio Napolitano, cioè due esponenti politici italiani che la lotta di classe dalla parte dei ricchi la fanno tutti i giorni, nel suo personalissimo pantheon degli «italiani più grandi». La Cei (Conferenza episcopale italiana) si è schierata con il centrosinistra a guida Gentiloni-Bonino alle ultime elezioni politiche. Sì, essendo ormai una costola del partito transnazionale politically correct, e forse anche qualcosa in più che una semplice costola, penso che la gerarchia vaticana contemporanea abbia scelto da che parte stare in questo gigantesco conflitto di classe che connota le dinamiche di riproduzione globali del capitalismo “di terza fase”

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Il come ed il perché del Populismo

di Umberto Bianchi
Il come ed il perché del Populismo
Fonte: Ereticamente
Al termine di un confronto elettorale decisamente serrato, il verdetto uscito dalle urne ha, indiscutibilmente, premiato tutte quelle formazioni che, in qualche modo, si rifanno o sono considerate esse stesse “populiste”. Il riferimento vale sia per la Lega che per il Movimento 5 Stelle, il Presidente Usa Trump, la transalpina Lady Marine Le Pen, che, nel più recente passato per la Forza Italia dei tempi d’oro ed, addirittura, in tempi recentissimi, come da qualcuno azzardato, anche per il Renzi della primigenia versione “rottamatoria”. Un termine nella cui accezione è stato incluso un po’ di tutto ed il suo contrario.
Ma cosa intendiamo esattamente per “populismo”? Quale è l’esatta accezione politica in cui va collocato questo termine, oggidì tanto di moda? A volersi rifare alla lettera della storia dei movimenti politici, per “populismo” si intendono una serie di movimenti che, a fine Ottocento si svilupparono in disparati contesti. In Russia il Populismo fu rappresentato dai “narodnjki”, i cui più autorevoli esponenti furono il colonnello e professore di matematica dell’Accademia militare Pëtr Lavrovič Lavrov, fautore di un populismo in chiave socialista, assieme al suo divulgatore ed idelogo, il sociologo e critico letterario Nikolaj Konstantinovič Michajlovskij, avente per oggetto l’emancipazione delle masse contadine, partendo dalla comunità rurale/“obscina”. La Francia invece, iniziò con la Lega dei Patrioti di Paul Déroulède, che unitasi ad un altro movimento populista di massa, il Boulangismo (dal nome di Georges Boulanger, carismatico generale dell’esercito francese) si fece fautore di un nazionalismo radicale e revanscista, sempre connesso al sempre più diffuso malcontento delle masse, nei riguardi della giovane repubblica parlamentare francese, tanto da conseguire nel 1888-89, dopo aver ottenuto l’appoggio dei monarchici, delle significative vittorie elettorali. Negli Stati Uniti fu il Partito del Popolo (People’s Party), noto anche come Partito Populista (Populist Party), sommariamente chiamati “Populisti”, quale partito istituito nel 1891 negli Stati Uniti d’America che, durante il periodo “populista”, prese piede verso la fine del XIX secolo. Supportato dalle classi meno abbienti, soprattutto da coltivatori ostili verso le élite in generale, ebbe il suo culmine tra il 1892 e il 1896. Continua a leggere

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Lombardia: Fontana sceglie "No al Gay pride, sì al Family day"

Niente patrocinio al Gay Pride, è una manifestazione divisiva e pertanto non va sostenuta».
Il governatore Attilio Fontana non intende concedere il logo regionale alla sfilata arcobaleno in programma il 30 giugno a Milano, lo ha confermato in un’intervista pubblicata ieri dal sito Lettera43.
É la linea che ha seguito peraltro anche a Varese, dove è stato sindaco per due mandati. «Io sono eterosessuale, ma non è che faccio una manifestazione per accreditare la mia eterosessualità. Le scelte in questo campo devono rimanere personali, sbandierarle è sbagliato. Il Gay Pride è divisiva e quando le manifestazioni sono divisive non sono mai da sostenere». Intende invece confermare la scelta dell’ex presidente Roberto Maroni che alla vigilia del corteo contro la legge sulle unioni civili (il ddl Cirinnà) nel 2016 illuminò il Pirellone con la scritta «Family Day». Continua a leggere

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Il vero obiettivo di Salvini è prendersi Forza Italia (e Di Maio gli sta dando una mano)

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Segnalazione Linkiesta
Il leader di via Bellerio lavora a un centrodestra a sua immagine e somiglianza. Vuole essere il successore di Berlusconi. E ha bisogno di non rompere la coalizione. Il patto con Di Maio serve a consolidare un nuovo bipolarismo: il loro
di Alessandro Franzi

Non l’abbraccio mortale con il Movimento 5 Stelle, ma la definitiva conquista del centrodestra. E’ questo l’orizzonte che sembrano indicare le mosse di Matteo Salvini, dopo aver trasformato la Lega (Nord) nel primo partito della prima coalizione uscita dalle elezioni del 4 marzo. L’abboccamento con i 5 Stelle – il primo partito – è una necessità dovuta alla mancanza di una maggioranza numerica in Parlamento. Ma è anche qualcosa in più. Sia Salvini sia Luigi Di Maio intendono gestire la nascita di quella che considerano la terza repubblica, non più solo slegata dalle ideologie novecentesche ma anche disancorata dai legami con le tradizionali famiglie politiche. E per farlo entrambi i leader, Salvini e Di Maio, si sono coalizzati per indebolire gli avversari: da una parte Silvio Berlusconi, dall’altra il Pd. E per riscrivere le regole del gioco: una legge elettorale con premio di maggioranza che possa certificare alle prossime elezioni, quando ci saranno, un nuovo bipolarismo. Il loro. Una strategia che potrebbe anche non passare da un governo politico fra Lega e M5S, che ne ucciderebbe in un sol colpo tutta la carica di novità.
Chi e come andrà a Palazzo Chigi, però, lo si vedrà solo nelle prossime settimane. Certo è che Salvini ha in mente da parecchio tempo un centrodestra che qualcuno ribattezzerebbe “Lega Italia”. Non è importante il nome, quanto la strategia. Dalla fine del 2013, il segretario del Carroccio ha lavorato alla costruzione di una sua proposta nazionale, non più circoscritta al Nord Italia. Ha adottato parole d’ordine unificanti: contro la sovranità ceduta all’Unione Europea, contro le nuove migrazioni, contro l’Islam. Ha dato scandalo con i suoi discorsi improntati alla dissacrazione del politically correct. E ha inaugurato quello che gli riesce sempre bene: una campagna elettorale permanente, che è scesa al Sud, passando per le regioni del Centro Italia che lo hanno premiato con risultati elettorali spesso a due cifre. Salvini rappresenta la nuova destra. Non solo quella radicale che si è raccontata in questi mesi. Il suo messaggio estremo ha raggiunto un elettorato moderato rimasto senza riferimenti, e dunque pronto ad affidarsi senza remore intellettuali. Salvini rappresenta dunque anche un nuovo centrodestra, che non ha più in Berlusconi il suo totem.

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Cinquestelle e Lega? Sono partiti “solidi” e vecchio stile (e vincono le elezioni per questo)

Segnalazione Linkiesta

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Cinquestelle e Lega? Sono partiti “solidi” e vecchio stile (e vincono le elezioni per questo)

Il partito liquido è stata un’invenzione dei Veltroni nel 2008 e sembrava un’idea rivoluzionaria (ma anche il Cavaliere aveva questa idea di partito). Con le ultime elezioni, invece, si sono affermati i partiti “solidi”: Lega e M5S. (di Flavia Perina, LEGGI)

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Bannon: "Salvini e Di Maio facciano un governo insieme"

IL PUNTO DI VISTA DELL’EX IDEOLOGO DI TRUMP
Steve Bannon, l’ideologo dell’ultra destra americana che ha trascinato Trump alla vittoria, dice di sognare un governo italiano formato dall’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Lega
di Raffaello Binelli
L’ex guru di Trump, colui che ha dato linfa alla “destra alternativa” americana, spregiativamente bollata dagli avversari come “populista”, si sofferma sulla politica italiana.
Lo fa con un’intervista al direttore de La Stampa, Maurizio Molinari. “Salvini e Di Maio? Il mio sogno è di vederli governare assieme”, dice Steve Bannon senza esitazioni. “Sono espressioni diverse dello stesso fenomeno e superano, assieme ad altre formazioni minori, la metà dei votanti”. Continua a leggere

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Un vero governo

di Giovanni Petrosillo
Un vero governo
Fonte: Giovanni Petrosillo

Le elezioni appena concluse hanno decretato la vittoria dei 5Stelle al sud e della Lega al Nord. Nella coalizione di centro-destra non va bene F.I., mentre si rafforza il partito della Meloni. Il Pd è crollato ovunque, anche nelle roccaforti d’antan. Leu ha superato di poco la soglia di sbarramento. Le ali estreme, Casapound e Potere al popolo, praticamente non esistono così come lo spauracchio della contrapposizione fascismo/antifascismo, con il quale i media hanno cercato di rinfocolare ataviche quanto immaginarie diatribe (con lo scopo di instradare gli elettori verso i gruppi dell’establishment).
Né i pentastellati né i centrodestri hanno la maggioranza per dare vita ad un esecutivo stabile. Si aprono i giochi per alleanze che consentano agli uni o agli altri di insediarsi a Palazzo Chigi. A Salvini e soci mancano una cinquantina di deputati ed una trentina di senatori per raggiungere l’obiettivo. Ai grillini molti di più. Quest’ultimi però sono il movimento più votato d’Italia e sembrano avere più chance di farcela orientandosi a sinistra. Renzi vuole impedire che ciò accada perché ha intenzione di farsi un partito personale spaccando il Pd. Ma se quest’ultimo entra nel governo nessuno lo seguirebbe più per cui ha mandato in scena le prime dismissioni-non dimissioni della Storia.
In ogni caso, sia Salvini che Di Maio dovranno scendere a patti con qualcuno annacquando le loro promesse elettorali, se non anche la loro visione politica che già non era un granché.
Il vero nodo della questione è questo: il mondo ha di nuovo il coltello tra i denti, trascinato dall’ondata multipolaristica. Cambiano i rapporti di forza globali. La Russia crea missili imbattibili. La Cina incrementa i propri arsenali. Gli americani non hanno mai smesso di spendere in armi e di migliorarle. Altre potenze regionali si comportano minacciosamente e mostrano i muscoli dove possono o dove ritengono di averne diritto. L’Italia ne sta pagando il prezzo, sia dentro che fuori i confini, indebolendosi su tutti i fronti. Basta una minaccia dei mercati per modificare la politica interna o una nave turca per ridimensionare quella estera.
Al cospetto di questi grandi temi che dicono grillini e leghisti? Di Maio è volato a Washington e si è accomodato con qualche trilaterale mentre Salvini non è andato più in là di critiche all’euro, all’Ue e alla Germania, ora divenute pure più “costruttive”. Il resto dei programmi è fuffa su reddito di cittadinanza, Flat tax e altre misure economicistiche ecc. ecc. che possono lenire ma non risolvere problemi che hanno natura soprattutto extra economica.
Come ha scritto invece Alberto Negri: “La Russia, Erdogan, la guerra in Siria, Cipro, Israele, Egitto, la Libia e l’Eni: un minuto per capire la strategia del gas. Le cose in sostanza stanno così. Se il gas russo va da Erdogan in pratica la Russia aggira l’Ucraina e trasferisce una quota della dipendenza europea da Mosca ad Ankara. Il progetto Tap (gas dell’Azerbiajan all’Italia) va avanti ugualmente perché interessa la Turchia anche se fa concorrenza a Mosca. Ma il gas di Cipro e del Mediterraneo orientale scompagina i piani della Turchia di diventare un hub decisivo del gas per l’Europa. Se poi a questo aggiungiamo il gas di Israele e quello dell’Egitto la posizione strategica turca si indebolisce. Peggio ancora se un giorno il gas iraniano passasse dall’Iran all’Iraq fino ai terminali in Siria: è questo uno dei motivi della guerra per procura anti-iraniana contro Assad da parte di Turchia e monarchie del Golfo. E per finire mettiamoci pure l’Algeria e la Libia già collegate da due gasdotti con l’Italia: ed ecco che si capisce bene perché hanno fatto fuori Gheddafi. L’Italia, con Eni, entra in tutti o quasi i progetti citati e questo evidentemente infastidisce diversi attori regionali e non. Nessuno di questi argomenti strategici per l’Italia è minimamente entrato nella campagna elettorale: non sono difficili da capire li ho sintetizzati qui in 18 righe, ovvero un minuto di lettura”.
E non solo di strategia energetica si tratta ma, soprattutto, di ricollocazione geopolitica dell’Italia e dell’Europa in un contesto in profonda trasformazione. Su questo i nostri cosiddetti populisti nulla hanno detto e nulla hanno da dire. Non c’è speranza. Questi signori non hanno capito il vero spirito dei tempi, per questo sono già perdenti e non potranno fare meglio (ma nemmeno peggio, credo) di chi li ha preceduti. Tuttavia, essere meglio di chi li ha preceduti non basterà a risollevare il Paese. Non fare male o fare bene non basta più, qui occorre fare qualcosa di grandioso e innovativo, revisionando il passato per costruire il futuro, guardandosi intorno dove siamo circondati da lupi.
*Il nostro sito non aderisce a tutto quello che ha scritto l’autore, ma ritiene l’analisi interessante

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Sull'esito della tornata elettorale (di Marco Tarchi)

di Marco Tarchi
Sull'esito della tornata elettorale
Fonte: Vanity Fair

Come commenta l’exploit del Movimento 5 Stelle (e di Lega)?

 Tutt’altro che inatteso. I sintomi della crescente disaffezione di una buona parte dell’elettorato verso l’establishmenterano evidenti da tempo. Stupisce un po’ che entrambi siano riusciti a recuperare una discreta quota (insieme, circa il 10%) di coloro che fino a un mese e mezzo fa dichiaravano di volersi astenere.

 Definirebbe tecnicamente il M5S un partito populista?

 No. Ho sempre distinto il discorso politico di Grillo – che è populista a pieni carati – e l’azione del M5S, che se ne è tendenzialmente distaccato, soprattutto dopo la morte di Gianroberto Casaleggio. Oggi nel movimento ci sono alcuni tratti della mentalità populista, ma vari altri mancano.

 Grillo ha detto che il M5S è riuscito a convogliare positivamente una rabbia repressa degli italiani che altrove (vedi Francia, Ungheria e altri) è stata raccolta dai movimenti di destra estrema. È d’accordo?

 Sì e no, perché non condivido l’etichetta di “destra estrema” attribuita al Front National, a Orbàn o alla Fpö austriaca. Sono partiti populisti. Detto questo, sì, il M5S ha intercettato in buona parte anche spinte che avrebbero potuto andare in quella direzione (cioè, da noi, alla Lega).

 Come mai il M5S ha preso comunque tanto nonostante alcuni inciampi degli ultimi mesi? Il voto nei suoi confronti è un atto di fede? Continua a leggere

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