State attenti il Pd è finito la sinistra no

Il mondo della scuola, della magistratura, della finanza, della cultura e dei centri nevralgici dello Stato sono saldamente in mano a una classe dirigente storicamente profondamente di sinistra
di Alessandro Sallusti
Si fa in gran parlare nei giornali e nei dibattiti estivi del tentativo in corso di ricostruire se non il Pd almeno una sinistra credibile e competitiva sul piano elettorale.
La prima considerazione è che c’è una sproporzione abissale tra il tanto spazio dedicato al tema sui mezzi di informazione e la scarsa affluenza di pubblico alle varie feste dell’Unità sui cui palchi si alternano vecchi residuati bellici, tipo Veltroni, e aspiranti neocapi, da Martina a Zingaretti. È questo il segno che il futuro della sinistra non interessa più a nessuno, neppure ai militanti storici, probabilmente nauseati dalla continua e inconcludente guerra tra le varie bande interne. Che ne sarà del Pd è un quesito che ormai si pongono solo opinionisti nostalgici, intellettuali allo sbando e politici frustrati.
Un paese apparentemente desinistrizzato è un sogno che si avvera, e se così fosse sarebbe una sorta di «missione compiuta» da parte di chi ha combattuto decenni, in politica e sui posti di lavoro, per raggiungere questo obiettivo. Se fosse vero, ma non lo è. Stiamo commettendo l’errore di fare coincidere la fine di un partito con la fine di un’ideologia, il momentaneo successo di Salvini con il definitivo riscatto di tutto ciò che non è di sinistra. Stiamo attenti. Già questo governo è nel suo dna di sinistra perché i Cinquestelle sono un movimento di neo-estrema sinistra, come hanno dimostrato tutte le analisi dei flussi elettorali. Ma cosa assai più importante è che il mondo della scuola, della magistratura, della finanza, della cultura e dei centri nevralgici dello Stato sono saldamente in mano a una classe dirigente storicamente profondamente di sinistra.
La quale non ci pensa neppure a farsi da parte solo perché, per la prima volta dal Dopoguerra, è rimasta orfana di un solido, organizzato e agguerrito partito di riferimento. Macché, questo sistema, sopravvissuto e anzi cresciuto nonostante elettoralmente minoritario negli anni del berlusconismo imperante, certo non disarmerà per le urla di Salvini o l’arroganza del finto democristiano Di Maio. Anzi, i buoni comunisti danno il meglio di sé proprio quando sentono squilli di battaglia e annusano l’odore del sangue. Il loro scopo oggi non è certo quello di resuscitare l’ormai inutile Pd, semmai è di sabotare la Lega (operazione già in corso) e infiltrarsi ancora di più nei Cinquestelle. Quindi per un liberale c’è poco da festeggiare e disarmare, perché il Pd sarà pure in rotta ma la sinistra è viva e vegeta.

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Sono stati una sciagura per 40 anni… ed ora hanno fretta. (Ovvero, ogni volta che i media amano qualcuno, questo qualcuno fa danni…)

di Marco Giannini
Sono stati una sciagura per 40 anni… ed ora hanno fretta. (Ovvero, ogni volta che i media amano qualcuno, questo qualcuno fa danni…)
Fonte: Comedonchisciotte

L’Italia è un paese strano, vediamo piovere bordate “a reti unificate” sul Governo in via di formazione e questo avviene proprio da personaggi come Monti, Berlusconi, Bossi, Renzi, Prodi, Veltroni, Padoan e Cottarelli (FMI…), i quali sin dai tempi dell’omicidio Moro hanno contribuito a devastare il paese, nell’ideologia e nella pratica, inquinandone la cultura ed esportandone il benessere.
Per dirne alcune la “Riforma Treu” del lavoro che ha portato il precariato a livelli monstre comprimendo l’economia causa insicurezza, le norme di ingresso di stranieri funzionali alla competizione al ribasso tra italiani e stranieri alla voce salari e diritti sociali, le riforme dei saperi che hanno indebolito il ruolo e la figura dell’insegnante (verso l’interno e verso l’esterno) e distrutto il senso civico del paese oltre che la qualità e la meritocrazia della scuola, il contemporaneo e drammatico appiattimento comparato del livello di competitività delle nostre Università attuato ad inizio millennio che ha reso, oltretutto, i baronati universitari ancora più “esosi” e politicizzati, il “Divide et Impera” attuato dal 1994 (agendo su rancori ed ideologie obsolete) che ha polarizzato gli italiani in “destra” e “sinistra” (dinamica teoricamente opportuna) ma in modo trasversale (!) visto che la principale suddivisione avrebbe dovuto essere tra istanze cittadine (definite sprezzantemente “populiste”) economico reali e quelle delle rendite speculative, in primis quelle delle grosse Corporation finanziarie (radicate all’estero) con il loro potentissimo apparato politico-Istituzionale-lobbiestico (…), il Divorzio Bankitalia/Tesoro, la privatizzazione delle banche e delle quote di Bankitalia (…), il prossimo furto della nostra riserva d’oro, le liberalizzazioni selvagge dei capitali e delle forniture che hanno incrementato il costo della vita, lo svuotamento della CGIL ormai ridotta a un moribondo comitato d’affari,  i tecnicismi finanziari franco tedeschi spacciati per “Europa” che hanno sradicato e sradicano ingenti fette di benessere (decine di miliardi l’anno) con norme pro banche e pro multinazionali che hanno come “utile netto” alta disoccupazione e alta tassazione, l’esaltazione ideologica della globalizzazione.

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Renzi è finito? Ok, ma risparmiateci Prodi, Veltroni e tutto quello che c'era prima

Risultati immagini per Renzi è finito
Segnalazione Linkiesta
Può piacere e può (molto legittimamente) non piacere lo stile Renzi. Ma se l’alternativa è il ritorno alla vecchia guardia della sinistra, allora vuol dire che il Pd si merita il grillisimo e l’antipolitica
di Francesco Cancellato

Che Renzi sia messo male, politicamente, è un fatto abbastanza incontrovertibile. Che il Pd attorno al 22/23% nei sondaggi pre-blocco sia oggettivamente un partito in una devastante crisi di identità, pure. Che il futuro del principale partito del centrosinistra italiano – ammesso che avrà un futuro unitario – debba essere qualcosa di diverso dalla Leopolda, è auto-evidente. Che a nessuno venga in mente, però, di tornare indietro, alla classe dirigente pre-rottamazione.
Lo diciamo, leggendo di padri nobili come Prodi che si posizionano, di ipotesi di segreterie Veltroni, o Franceschini. Di ritorni all’ovile, da protagonisti, di D’Alema e Bersani. No, grazie. Se c’è qualcosa che potrebbe essere anche più dannoso di un Renzi che si imbullona al Nazareno, è il ritorno del Pd-modello seconda Repubblica.
Lo diciamo ricordando – a loro, soprattutto – che il fenomeno Renzi nacque proprio da una crisi di rigetto di buona parte dell’elettorato democratico nei confronti loro, di quel blocco di potere immobile, autoreferenziale, esausto, incapace di costruire una visione politica che fosse tale, figurarsi di renderla affascinante agli occhi degli elettori.
Persino il Movimento Cinque Stelle, in fondo, iniziò a germinare proprio sulla critica radicale alla classe dirigente di centrosinistra della seconda repubblica, incapace, a dire di Beppe Grillo, di costituire un’alternativa reale a Berlusconi e ai governi di centrodestra. Il governo Monti, la prima grande coalizione, fu un regalo fin troppo gradito che produsse l’exploit del 2013.
D’accordo, Renzi non ha invertito la rotta, e il Pd ha continuato, pure con lui, la sua inarrestabile caduta. Ma se non ci fosse stato Renzi, probabilmente, staremmo parlando di numeri ancora peggiori. Senza Renzi, ad esempio, i governi Letta e Gentiloni sarebbero stati percepiti per quel che sono realmente stati, due esecutivi inconcludenti e timidi all’eccesso, senza alcuna idea – giusta o sbagliata che sia – sul futuro dell’Italia. Senza Renzi ci staremmo raccontando una legislatura democristiana e balneare, di pura gestione dell’esistente, senza alcun clamoroso fallimento, forse, ma senza nessuno slancio progettuale.

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