Oltre il danno, anche la beffa. La Francia di Emmanuel Macron non solo ha deciso di colpire duro l’Italia sull’affare Fincantieri-Stx. Ma ha fatto anche altro: ora prova a cambiare proprio quelle regole su cui ha voluto inchiodare il colosso italiano della cantieristica. Siamo alle solite, verrebbe da dire. E in effetti sembra un copione già visto. Ma quello cui si rischia di assistere in questo momento ha del tragicomico.
Tutto nasce dall’accordo sulla fusione di Alstom con Siemens. Un’intesa che, secondo le intenzioni di Berlino e Parigi, avrebbe creato un gigante dell’industria ferroviaria. Con i 27mila dipendenti dei tedeschi e i 33mila dei francesi, l’idea era (e continua a essere) quella di creare un colosso del settore tale da poter competere con le aziende cinesi e quelle americane.
Angela Merkel e Macron hanno fatto di tutto per creare questo grande conglomerato delle infrastrutture. E in effetti è questo uno dei punti del Trattato di Aquisgrana: costruire un sistema industriale franco-tedesco il più possibile integrato, in cui le aziende dei due Stati saldino il più possibile i rapporti per creare un’agenda comune. Francia e Berlino si impegnano quindi non solo da un punto di vista politico e strategico, ma anche da un punto di vista economico e infrastrutturale.
Fin qui nulla di problematico. Ogni Paese ha il sacrosanto diritto di scegliere i propri partner e creare le proprie alleanze. E l’asse franco-tedesco non è è certo una novità di questi ultimi mesi, visto che Berlino e Parigi, da decenni, si spartiscono l’Europa e fanno affari fra di loro. Il problema però è se questa alleanza non solo va a discapito dell’Italia in termini generali, ma colpisce i nostri interessi nel concreto costruendo un sistema che è palesemente volto a escludere la nostra industria.
Vittimismo? Non proprio. Specialmente se si guarda a quanto avvenuto sul fronte Fincantieri-Stx ma soprattutto su quanto avvento successivamente con Siemens e Alstom. Perché se riavvolgiamo il nastro di qualche settimana, non possiamo non ricordare che la Francia ha boicottato (perché di questo si tratta) il colosso della cantieristica italiana paventando un fantomatico superamento dei tetti di fatturato per attivare l’Antitrust europeo. Tetti che non venivano affatto superati in caso di acquisizione da parte di Fincantieri dei Chantiers de l’Atlantique. Ma tanto è bastato per fermare il tutto e mettere a repentaglio un’acquisizione che avrebbe (questa sì) creato un gigante del settore tale da competere con i rivali asiatici e americani.
Uno sgarbo, quello di Macron, che sarà difficile da ricucire. Anche perché lo scontro fra il governo francese e quello italiano ha rasentato la vera e propria crisi diplomatica, con tanto di richiamo dell’ambasciatore di Parigi. Ma fa sorridere (se non piangere) che proprio quelle regole citate dai francesi per bloccare Fincantieri, ora non piacciano più agli stessi cugini d’Oltralpe e ai vicini tedeschi. Perché mentre con l’Italia sono state usate male, ma tanto è bastato per adire l’Ue, adesso l’Unione europea ha fermato proprio i due colossi tedesche di Siemens e Alston perché l’iniziativa industriale avrebbe violato le regole della concorrenza del mercato comune. E lo stop è arrivata dal commissario europeo Margrethe Vestager, che ha posto il veto su questo accordo.
Ma ecco la mossa di Parigi e Berlino che lascia di stucco. O meglio, che fa capire perfettamente come si comportino Francia e Germania in sede europea. Per Fincantieri e l’Italia ovviamente le regole erano strettissime. Ma per l’industria franco-tedesca non era affatto così, anzi, sono le regole a essere sbagliate. E così in queste ore è arrivato il segnale da parte del governo francese e di quello tedesco di un impegno comune per cambiare le regole del gioco.
Le due potenze del Vecchio Continente hanno così deciso di mettere a punto un piano per cambiare le regole della concorrenza dell’Unione europea. In una nota, i ministri dell’Economia di Francia e Germania hanno infatti dichiarato che “le regole sulla concorrenza sono essenziali, ma le regole esistenti devono essere riviste per poter adeguatamente tenere conto delle considerazioni di politica industriale”, che possono sostenere le aziende europee nella competizione sulla scena mondiale. “La scelta è semplice quando si tratta di politica industriale: unire le nostre forze o consentire alla nostra base industriale e alla nostra capacità di scomparire gradualmente”, aggiunge la nota. Insomma, le regole piacciono finché danneggiano il terzo incomodo: in questo caso, l’Italia.