Segnalazione Linkiesta
Finiremo per rimpiangere i peggiori meccanismi elettorali. Ecco perché il “rosatellum” (al netto delle lamentele su chi è stato candidato e chi no) assomma il peggio, e allontana le persone dalla politica
Tempo dieci minuti e rimpiangeremo anche il Porcellum, con le sue liste bloccate e il Manuale Cencelli delle correnti che sì, magari era un po’ squallido, ma obbligava i partiti ad essere partiti e aveva un solo, principale difetto: impediva agli elettori di punire o premiare singole persone. Ora che le liste sono squadernate quasi del tutto, si può verificare facilmente che il Rosatellum non ha risolto quel difetto ma, anzi, ci ha aggiunto i limiti di tutti i principali sistemi elettorali conosciuti.
Tu puoi premiare l’encomiabile personalità anti-camorra e, per il gioco dei capolistati plurimi e delle opzioni, ritrovarti comunque eletto quello che fabbrica consensi con le fritture di pesce. Puoi punire, non votandolo, il dirigente che ti ha deluso e quello sarà eletto lo stesso, grazie al paracadute che gli è stato garantito altrove.
Come nel proporzionale secco, i partiti – soprattutto al Sud – hanno dovuto inchinarsi ai grandi portatori di preferenze. Come nel maggioritario puro, gli establishment si sottraggono al giudizio rifugiandosi nei seggi blindati.
Tu puoi premiare l’encomiabile personalità anti-camorra e, per il gioco dei capolistati plurimi e delle opzioni, ritrovarti comunque eletto quello che fabbrica consensi con le fritture di pesce. Puoi punire, non votandolo, il dirigente che ti ha deluso e quello sarà eletto lo stesso, grazie al paracadute che gli è stato garantito altrove.
Come nel proporzionale secco, i partiti – soprattutto al Sud – hanno dovuto inchinarsi ai grandi portatori di preferenze. Come nel maggioritario puro, gli establishment si sottraggono al giudizio rifugiandosi nei seggi blindati.
La nuova legge sembra garantire una cosa sola: un totale controllo delle leadership sugli eletti con la possibilità di intese post-elettorali senza troppa fatica, e al diavolo tutto il resto
Intendiamoci: non si sposano qui le lagne degli esclusi, che fanno parte del “colore” di ogni fase pre-elettorale. Qui si verifica soltanto che dopo un quinquennio di moniti autorevolissimi sulla necessità di andare al voto con nuove norme – regole che riconciliassero il Paese con la politica, restituissero simmetria a Camera e Senato, cancellassero i sarcasmi sul “Parlamento dei nominati” – la nuova legge c’è e sembra garantire una cosa sola: un totale controllo delle leadership sugli eletti con la possibilità di intese post-elettorali senza troppa fatica, e al diavolo tutto il resto.
«Dal vincolo di mandato al vincolo di servitù», scrivono gli spiritosi sui social commentando il privilegio assoluto dato all’elemento “fedeltà” nell’attribuzione dei posti sicuri, e l’esclusione dalle liste di ogni possibile sospettato di animus frondista. Ma questa è soltanto la brezza di superficie, il dato più visibile, che fa discutere soprattutto in casa Pd visto che quel partito – rispetto a FI e ai Cinque Stelle – si fregiava finora di aver tutelato un certo pluralismo interno.
Il fenomeno profondo è un altro ed è la progressiva omogeneizzazione oltreché dei programmi anche delle “facce” e delle biografie. Una volta fatti fuori i portatori di una “linea”, di una qualche autonomia e di una specifica reputazione personale, quel che resta sono figure assolutamente intercambiabili. La bella giornalista Mediaset che esordisce da candidata precisando «una donna in politica è credibile anche se indossa il tubino» è nelle liste di Berlusconi, di Renzi o di Grillo? E l’appassionata consigliera che esibisce il «Boia chi molla» di incoraggiamento dei suoi studenti sta con Salvini o con la Meloni? (Ps: tutte e due col Pd). E ancora, i “figli d’arte” che costellano tutti i listini, siamo sicuri che siano portatori di capacità e visioni in linea con i partiti che li candidano? O sono stati pescati solo per i solidi pacchetti preferenziali garantiti dai padri?
«Dal vincolo di mandato al vincolo di servitù», scrivono gli spiritosi sui social commentando il privilegio assoluto dato all’elemento “fedeltà” nell’attribuzione dei posti sicuri, e l’esclusione dalle liste di ogni possibile sospettato di animus frondista. Ma questa è soltanto la brezza di superficie, il dato più visibile, che fa discutere soprattutto in casa Pd visto che quel partito – rispetto a FI e ai Cinque Stelle – si fregiava finora di aver tutelato un certo pluralismo interno.
Il fenomeno profondo è un altro ed è la progressiva omogeneizzazione oltreché dei programmi anche delle “facce” e delle biografie. Una volta fatti fuori i portatori di una “linea”, di una qualche autonomia e di una specifica reputazione personale, quel che resta sono figure assolutamente intercambiabili. La bella giornalista Mediaset che esordisce da candidata precisando «una donna in politica è credibile anche se indossa il tubino» è nelle liste di Berlusconi, di Renzi o di Grillo? E l’appassionata consigliera che esibisce il «Boia chi molla» di incoraggiamento dei suoi studenti sta con Salvini o con la Meloni? (Ps: tutte e due col Pd). E ancora, i “figli d’arte” che costellano tutti i listini, siamo sicuri che siano portatori di capacità e visioni in linea con i partiti che li candidano? O sono stati pescati solo per i solidi pacchetti preferenziali garantiti dai padri?
Una volta fatti fuori i portatori di una “linea”, di una qualche autonomia e di una specifica reputazione personale, quel che resta sono figure assolutamente intercambiabili
Al termine della legislatura più dissestata degli ultimi vent’anni, che ha macinato tre leggi elettorali, una riforma costituzionale, la staffetta tra un Presidente della Repubblica ri-eletto e uno eletto, molti avevano preconizzato, proprio sulla base del Rosatellum, un ritorno alla Prima Repubblica.
Adesso sappiamo che non è così. Se c’era un dato fondante di quella antica stagione era l’esistenza di partiti ben recintati, fortemente differenziati, gerarchici ma non leaderistici, di una destra e di una sinistra divise da un abisso, dove nessuno – nemmeno un cantante, nemmeno un attore, figuriamoci un giornalista o un ras del territorio – avrebbe potuto indifferentemente collocarsi qui o lì.
L’esperienza politica che si apre adesso è l’esatto contrario: una Repubblica senza partiti e senza coordinate di riferimento, dove le ambizioni personali si infeudano intorno ai leader e fanno sistema a se’ mentre le “idee politiche” – quelle “idee” che sembravano l’indispensabile basamento di ogni agire nella Polis, e tanto ci fecero litigare – svaniscono sullo sfondo, come fantasmi.
Fonte: http://linkiestait.musvc1.net/e/t?q=9%3d8TGc0%26D%3d9%26J%3d4TH%26K%3d2YAb5%26M%3dpPuH_zwTr_A7_ssav_38_zwTr_0BxO5.HjFsEfK27.jL_zwTr_0BjL_zwTr_0BbJ2EdDm_NRuX_XgTHW9_JYyQ_Tnf2_JYyQ_TnX0_JYyQ_TnAs3-uAhDqK-jD-xKs5mHmMu-Mv71Pf-7tA1AwJj-KwJp-Di-Jf9iVjGvA-e7tHb-HwHjLq_NRuX_XgUDe57b3iT_zwTr_0B%26e%3dE3Ow59.JfL%26qO%3d2UEe7
Adesso sappiamo che non è così. Se c’era un dato fondante di quella antica stagione era l’esistenza di partiti ben recintati, fortemente differenziati, gerarchici ma non leaderistici, di una destra e di una sinistra divise da un abisso, dove nessuno – nemmeno un cantante, nemmeno un attore, figuriamoci un giornalista o un ras del territorio – avrebbe potuto indifferentemente collocarsi qui o lì.
L’esperienza politica che si apre adesso è l’esatto contrario: una Repubblica senza partiti e senza coordinate di riferimento, dove le ambizioni personali si infeudano intorno ai leader e fanno sistema a se’ mentre le “idee politiche” – quelle “idee” che sembravano l’indispensabile basamento di ogni agire nella Polis, e tanto ci fecero litigare – svaniscono sullo sfondo, come fantasmi.
Fonte: http://linkiestait.musvc1.net/e/t?q=9%3d8TGc0%26D%3d9%26J%3d4TH%26K%3d2YAb5%26M%3dpPuH_zwTr_A7_ssav_38_zwTr_0BxO5.HjFsEfK27.jL_zwTr_0BjL_zwTr_0BbJ2EdDm_NRuX_XgTHW9_JYyQ_Tnf2_JYyQ_TnX0_JYyQ_TnAs3-uAhDqK-jD-xKs5mHmMu-Mv71Pf-7tA1AwJj-KwJp-Di-Jf9iVjGvA-e7tHb-HwHjLq_NRuX_XgUDe57b3iT_zwTr_0B%26e%3dE3Ow59.JfL%26qO%3d2UEe7