L’Avvocato Luciano Randazzo era molto amico di Guido Mussolini, venuto a mancare lo scorso mese di Dicembre. Insieme avevano progettato da tempo di fare emergere la verità sulla morte del Duce. Soprattutto svelare perché, in certi consessi, si decretò che non andava processato. Intervistiamo l’avvocato nel giorno in cui si diffonde la notizia della scomparsa del nipote di Benito Mussolini.
Come nacque l’idea del processo al Duce?
«Un giorno incontrai Guido Mussolini con l’amico architetto Filippo Giannini. In quell’occasione si pensò ad armare, ovviamente in modo teatrale, il processo al Duce. Un po’ ricalcando l’opera di Mino Caudana, grande scrittore dimenticato, autore de Il Figlio del Fabbro come de Il Prigioniero del Gran Sasso e di altre opere certamente agiografiche di Benito Mussolini. Che dire di Guido Mussolini, grande personalità, certamente dimenticato: uomo colto, gran signore. Guido era, per usare un’aggettivazione antica, un uomo d’altri tempi. Con lui spesso mi son trovato a discorrere per ore. Nell’ambiente lo consideravamo il vero erede della rivoluzione culturale di suo nonno Benito. Secondo me è stato offuscato dall’immeritata notorietà di alcuni suoi parenti sbarcati in politica negli anni ‘90. Ma corre obbligo sottolineare come Guido abbia avuto il coraggio, e per primo, di fare luce, in sede processuale ed attraverso una indagine penale, circa la morte del Duce. Un assassinio ancora avvolto da mistero. Certamente il primo mistero insoluto della Repubblica italiana, e perché s’avvantaggeranno dalla sua morte molti protagonisti della cosiddetta Prima Repubblica. Allora è giusto chiedersi, anche per dovere storico, chi siano stati i traditori e le grandi potenze imperialiste artefici di quell’omicidio. E se non siano le stesse che hanno passato la mano a chi oggi assomma potere politico ed economico. La nuova Italia repubblicana e democratica è certamente nata con la macchia di un mistero, la morte del Duce. Grazie a Guido per la prima volta, e non in mera trattazione letteraria, si è cercato di fare luce sulla morte del Duce e della signora Petacci: entrambi furono uccisi da persone rimaste sconosciute. La tradizione partigiana e resistenziale vuole il Colonnello Valerio quale esecutore ed ideatore dell’omicidio, tradizione oggi cancellata perché sbugiardata dalle tante prove, anche se come pseudo verità ha condizionato in modo menzognero intere generazioni di studenti.»
Che cosa scatenava la prima indagine sui veri esecutori del barbaro omicidio e, soprattutto, su cosa doveva vertere il processo al Duce?
«Pochi giorni prima di essere ucciso Benito Mussolini era in trattative per un passaggio di poteri: il meno possibile traumatico e senza spargimento di sangue. Tra le persone da lui prescelte a questo scopo, c’era Carlo Silvestri, un socialista suo estimatore e amico. Mussolini lasciava a Silvestri questo suo ultimo desiderio: “Dalla Valtellina mi consegnerò a un tribunale italiano: solo questo ha il diritto di giudicarmi. Ma mi deve garantire che mi si lascerà parlare, perché il popolo italiano deve sapere il perché di questa guerra. Poi mi si punirà se mi si riterrà colpevole. Non intendo consegnarmi ai tribunali anglosassoni: mi si impedirebbe di parlare, di dire la verità che a loro brucia”.»
Quindi, era stato promesso al Duce un giusto processo, soprattutto gli era stata garantita l’incolumità fisica in cambio del passaggio di poteri?
«Su questi passaggi deve concentrarsi l’indagine, e perché solo una potenza straniera vincitrice del conflitto bellico avrebbe potuto garantire l’incolumità in cambio del passaggio per certi versi indolore. Ogni Paese civile ha il dovere di garantire un giusto processo. Mussolini non è mai stato sottoposto ad alcun processo. Certo l’imputato è morto, ma atto di giustizia vuole, anche se tardivo, un doveroso processo.»
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Fonte – http://www.azionetradizionale.com/2013/01/05/intervista-allavvocato-luciano-randazzo-la-verita-sulla-morte-di-mussolini/?utm_campaign=shareaholic&utm_medium=whatsapp&utm_source=im