Riflessioni sulla “idolatria del migrante”

di Anonimo Pontino  (da “Sí Sí No No”, n. 5, anno XLIV, 15 marzo 2018)


Le promesse di felicità che si rovesciano nel loro contrario sono il più antico trucco di Satana.
Le seduzioni del benessere e del divertimento facile ci sono state date solo il tempo necessario per toglierci le risorse spirituali che saranno invece necessarie nel futuro di privazioni e desolazione che ci attende.
Il popolo, in gran parte, è stato condizionato a vivere di consumi indotti, spettacoli idioti, calcio, giochi, lotterie, sesso libero, droghe, per dimenticare vite vuote distrutte da una regressione morale, civile e sociale senza precedenti.
Abbiamo perso la strada.
Volete  l’educazione alla disciplina ed ai valori cristiani nelle scuole, magari una rivalutazione dei valori della Cavalleria in una società in cui i calciatori e le veline sono i modelli proposti ai nostri figli? allora vi troverete tutti contro, compresi i cattolici “evoluti”, quelli “aperti”, impegnati a stroncare con la misericordia qualsiasi opposizione all’ “accoglienza ad ogni costo” conforme alla nuova “idolatria del migrante”.
Mentre la televisione ci mostra un mondo che non esiste, le famiglie vengono disgregate da un processo sempre crescente di preoccupazioni. I mass-media fanno bene il loro lavoro: trasformano la disperazione sociale di massa in un mero dramma individuale.
In un mondo in cui i benefici dell’incremento produttivo vengono riservati ad una minoranza anziché essere condivisi da tutta la comunità, la classe lavoratrice è spremuta e stimolata a operare più in fretta, mentre contemporaneamente una forte percentuale della popolazione viene bloccata nella disoccupazione forzata.
In questi ultimi anni è ormai emersa una nuova classe di poveri, quelli in giacca e cravatta, i nuovi schiavi del supercapitalismo multinazionale: quelli con il mutuo erogato al 100 per cento a tasso variabile, quelli con un lavoro a tempo e l’utilitaria pagata a rate. Dall’alto dei pulpiti modernisti nessuno parla di “misericordia” e di “accoglienza” per gli italiani ridotti ormai in povertà che vengono pure additati come peccatori ed evasori fiscali se, per non far morire di fame i loro figli, cercano di evitare il saccheggio fiscale dei governi usurocratici.

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Come le promesse di satana, questo sistema vende a caro prezzo l’illusione della imminente ripresa economica affermando che siamo tornati in forma.
Ma la realtà è che gli indici in crescita dei mercati finanziari sono del tutto sconnessi dalla realtà imprenditoriale ed economica, il che genera la massima accumulazione di ricchezza in pochissime mani, le solite, riducendo il margine per le imprese costrette a non creare più impieghi di qualità.
Quelli che credono che il peggio sia passato e che il capitalismo monopolistico globalizzato darà ai nostri figli le risorse necessarie per costruirsi una famiglia, che il mercato del lavoro offrirà nuove “opportunità”, sperano in qualcosa che non accadrà, semplicemente perché non rientra nei piani dell’ élite che seguono fedelmente le loro agende massoniche:
Si dovrà provocare la depressione industriale e il panico finanziario: la disoccupazione forzata e la fame, imposta alle masse, col potere che noi abbiamo di creare scarsità di cibo, si creerà il diritto del Capitale di regnare in modo più sicuro…
Noi dobbiamo apparire come i salvatori degli oppressi e i campioni dei lavoratori. Invece, siamo interessati proprio all’opposto” (M. A. Rothschild)
L’economia attuale, totalmente svincolata da ogni norma di etica cristiana, obbedisce ai dogmi del liberismo totale sintetizzati da Milton Friedman: “Massimizzare il valore per gli azionisti è la sola responsabilità di un’azienda”.
Questo concetto viene inculcato nella testa di tutti i rampanti sgomitatori che rincorrono il miraggio della carriera. Questo idolo del capitalismo moderno crea i sui schiavi, disposti a sacrificare sull’altare del profitto aziendale qualsiasi cosa. Non a caso Nostro Signore Gesù Cristo disse che “non è possibile servire due padroni: Dio e Mammona”; infatti quando il denaro (in aramaico mammona) prende il posto di Dio Creatore si inverte tutto l’ordine naturale delle cose.
Il conformarsi alla legge del profitto aziendale ha prodotto una classe dirigente che obbedisce ad un’etica economicistica, dove si spaccia il sacrificio economico sotto parvenza di sacrificio etico. Chi ha interesse a pianificare un’etica economicistica è chi appunto gode del sacrificio economico, cioè gli azionisti di maggioranza di banche e multinazionali ed i loro obbedienti tirapiedi.
Le aziende piene di “manager” che esaltano la modernità del progresso ipertecnologico, spingono la competizione sul lavoro ai massimi livelli, funzionale all’aumento della produttività. Studiano i tempi morti e le pause considerate superflue che i dipendenti devono  tagliare.
Un’azienda  programmata per sfruttare il lavoratore ottenendo il massimo profitto è un’azienda in cui anche le persone buone sono forzate a comportarsi male. E’  difficile “rispettare” il prossimo  quando  si rischia di non conquistare le gratificazioni che il mondo del lavoro ci sbatte in faccia come meta da raggiungere.
Secondo l’ideologia mercificatrice dell’ipercapitalismo globalista dobbiamo lavorare di più ed impoverirci costantemente per pagare gli interessi di un debito teorico di molto superiore al PIL mondiale, che rappresenta appunto il profitto delle “CATTEDRALI di satana” come le chiamava il compianto Prof. Auriti, cioè il profitto dei centri della finanza internazionale.
Come il comunismo aveva realizzato un “capitalismo di stato” in cui tutto il patrimonio era gestito dal Partito Comunista che aveva ridotto il popolo ad “elemosina di stato”, così nel “capitalismo globalista” di oggi poche persone, che si nascondono dietro i fantasmi giuridici delle Società per Azioni, controllano tutte le ricchezze e le risorse nel loro esclusivo interesse.
Meno dell’1 per cento della popolazione  è padrona di quasi tutta la ricchezza disponibile. Pertanto la “domanda di mercato” del lavoro riflette  quello che quell’1 per cento ritiene importante ed utile. Il resto dell’umanità diventa superflua.
Papa Leone XIII più di un secolo fa avvertiva:
«Da una parte una frazione strapotente perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza, ed esercita pure nell’andamento dello Stato una grande influenza. Dall’ altra una moltitudine misera e debole, dall’animo esacerbato e pronto sempre a tumulti. Un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori…. Tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un giogo poco meno che servile» (Rerum Novarum).
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Le aziende che inseguono il “mercato” ed il ”profitto”  hanno ormai perso competenze operative maturate in anni, perdendo di vista il loro compito fondamentale ed istituzionale: servire la società affinché possa funzionare meglio.
Con la globalizzazione, inoltre, i grandi stabilimenti ed i posti di lavoro vengono trasferiti in aree del globo terrestre in cui la manodopera è remunerata con salari ridicoli. I beni prodotti da questi stabilimenti industriali delocalizzati vengono poi importati proprio nello stesso paese in cui gli stabilimenti industriali erano stati chiusi e trasferiti. Questo processo non crea ricchezza. Infatti non si arricchisce nessuno, se non i gruppi industriali artefici di queste manipolazioni economiche.
Ai giovani di oggi, dipendenti dalle mode e menomati da un’ educazione senza disciplina, non rimarranno nemmeno le mansioni più “basse” dell’ipercapitalismo, quelle che vengono denominate come “sharing economy”, un’altra impostura linguistica con cui indicare tutti quei lavoretti dequalificanti e sottopagati. Infatti i flussi migratori hanno già formato per questo scopo un esercito di riserva di lavoratori scarsamente qualificati a basso costo.
C’è chi confida nelle odierne Università per trovare lavoro.
Una ricerca del Confartigianato ha dimostrato che meno del 50% delle imprese italiane fanno ricerca e sviluppo di prodotti e di processi e di queste meno del 3% si è servita della collaborazione di università. Le altre fanno tutto all’interno, con il loro personale inserito nella produzione reale.
È triste vedere i giovani studenti cosmopoliti della “generazione Erasmus” elogiare le “virtù” dell’ americanizzazione degli europei ed esaltare la “open society” su scala globale. Ormai sono già conformati e pronti ad assumere un posto da precari nella società tecnomercantile di oggi, una società senza Dio, che ha rinunciato alle proprie RADICI CRISTIANE ed ha abolito i valori guerreschi in nome degli interessi del “Mercato Globale” e dello “Ius soli“.
Nelle moderne Università, dove si insegna a pensare in modo conformato, non viene detto che tutto il sistema economico è un immenso schema Ponzi che si regge attraverso la continua espansione del debito necessaria per il pagamento degli interessi. Questa espansione è esponenziale per una semplice legge matematica. Ecco perché le risorse a disposizione delle famiglie diminuiscono costantemente. Il sistema del debito è pertanto una piramide capovolta svasata verso l’alto che si allarga esponenzialmente, fino a quando crolla.
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Bisogna ritornare all’ECONOMIA REALE, rivalutando i mestieri e la TERRA dono di Dio per il sostentamento dell’uomo. Bisogna rivalutare i tradizionali sistemi di agricoltura finalizzata all’autoproduzione per consumo familiare, contrapposti alla logica mercantile della produzione industriale ed alla conseguente speculazione dei mercati. Bisogna tornare all’economia pensata per soddisfare i bisogni e non i desideri, fondata su “ciò che è necessario” e che per secoli è stata una costante della CIVILTÀ CRISTIANA.
Più di ottanta anni fa Il Popolo d’ Italia (5 maggio 1934) faceva una sintesi eloquente dei meccanismi economici e demografici legati all’ abbandono delle campagne:
Più la città aumenta e si gonfia la metropoli e più diventa infeconda. La progressiva sterilità dei cittadini è in relazione diretta con l’aumento rapidamente mostruoso della città. La metropoli cresce, attirando verso di essa la popolazione della campagna, la quale, però, appena inurbata, diventa, al pari della preesistente popolazione, infeconda. Si fa il deserto nei campi: ma quando il deserto estende le sue plaghe, abbandonate e bruciate, la metropoli è presa alla gola. Né il suo commercio, né le sue industrie, né il suo oceano di pietre e di cemento armato possono ristabilire l’equilibrio, ormai irreparabilmente spezzato; è la catastrofe.
La città muore, la nazione senza più le linfe vitali della giovinezza delle nuove generazioni non può più resistere – composta com’è ormai di gente vile ed invecchiata – al popolo più giovane che urla alle frontiere abbandonate. Ciò può ancora accadere e accadrà. E non soltanto fra città e nazioni, ma in un ordine di grandezza infinitamente maggiore. L’intero occidente può venire sommerso dalle altre razze di colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra”.
Quanto previsto più di ottanta anni fa sta accadendo oggi.

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