Cosa nasconde la battaglia contro le fake news?

di Enrica Perucchietti
Cosa nasconde la battaglia contro le fake news?
Fonte: In Terris
a cura di Federico Cenci
Nella dialettica politica, ormai da qualche tempo, c’è un modo rapido ed efficace per delegittimare l’avversario: accusarlo di diffondere fake news. L’ennesimo termine inglese è entrato prepotentemente nel nostro vocabolario, assumendo presso l’opinione pubblica la forma di un allarme sociale. Tale è la sensibilità di alcune forze politiche sul tema che in diversi Paesi – tra cui l’Italia – prendono forma o sono già state approvate leggi di contrasto alle fake news. Tuttavia diversi blogger, giornalisti, saggisti denunciano che questa battaglia contro le notizie false e ingannevoli si muova su un crinale pericoloso: quello della violazione della libertà d’informazione. Ne è convinta anche la giornalista e scrittrice Enrica Perucchietti, che nel suo libro Fake News (Arianna Editrice, 2018) dipinge un intento dalle venature distopiche dietro la campagna contro le fake news. In Terris l’ha intervistata. Continua a leggere

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Nigeriane, dai barconi ai marciapiedi della tratta

Segnalazione FB di Matteo Salvini
Luigi De Ficchy, procuratore capo di Perugia: “Così avviene il traffico delle giovani dalla Nigeria all’Italia”
di Giacomo De Sena

Prostitute nigeriane

Prostitute nigeriane
Otto persone arrestate, sei donne e due uomini, tutti nigeriani. È questo il risultato nei giorni scorsi di un’operazione della Squadra mobile della Polizia di Perugia, con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Perugia, che ha smantellato un’organizzazione criminale dedita allo sfruttamento della prostituzione nel capoluogo umbro. Il gruppo di uomini e donne – a partire dal 2015 – faceva arrivare ragazze dalla Nigeria all’Italia, attraverso la Libia, per farle prostituire. Le giovani salivano su camion gremiti, poi sugli ormai arcinoti gommoni che navigano nel Mediterraneo per finire sui marciapiedi italiani. L’indagine toglie il velo su una piaga diffusa e complessa, sulla quale In Terris ha provato a far luce intervistando Luigi De Ficchy, procuratore capo di Perugia.
Da quest’ultima operazione emergono i profondi interessi commerciali che trasformano queste donne in merce da piazzare sui vari mercati della criminalità: quanto è diffuso questo fenomeno in Italia e cosa si può fare per stroncarlo?
“Anzitutto il pubblico deve prendere consapevolezza del fatto che siamo di fronte non ad un’emergenza, ma ad una permanenza. Ci sono elementi, studi, analisi, investigazioni su questo fenomeno da almeno venticinque anni. Personalmente, stando alla procura nazionale, ne scrivevo al riguardo già vent’anni fa. Certo, sono cambiate le modalità del traffico, magari un tempo si arrivava in Italia in modo diverso, i flussi migratori seguivano altre strade, ma la tratta di persone proveniente da Nigeria e Paesi limitrofi è un fenomeno antico”.
Il fenomeno è stato sottovalutato?
“Ritengo che in troppi che dovevano fronteggiare questa piaga, purtroppo hanno messo la testa sotto la sabbia. La magistratura fa quello che può, con investigazioni che non sono facili, perché in gran parte sono transnazionali e internazionali, che riguardano organizzazioni criminali di diversi Paesi”.
In genere quante organizzazioni criminali sono coinvolte in questi traffici?
“Se parliamo dei traffici della Nigeria, esistono organizzazioni che agiscono già in Nigeria. Poi, dello spostamento delle persone dal subsahara alla Libia se ne occupano già altre organizzazioni. E ancora, in Libia, queste persone vengono prese in consegna da gruppi libici che si occupano del viaggio fino in Italia. Una volta qui, tante cellule si attivano per lo smistamento di queste donne sui vari mercati”.
C’è anche un forte legame tra traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione…
“Certo, c’è un legame, spesso queste stesse donne vengono utilizzate per il trasporto della droga. La Nigeria, del resto, è un crocevia di sostanze stupefacenti: passano di lì la cocaina che viene dal Brasile e dalla Colombia e l’eroina proveniente dal Sud-Est asiatico e dal Pakistan, queste sostanze vengono poi stoccate e portate verso i Paesi consumatori. Negli anni ’80 i nigeriani operavano come corrieri per altre organizzazioni, oggi stanno gestendo questo traffico in proprio perché hanno acquisito una capacità criminale maggiore. In Nigeria questa attività viene organizzata liberamente perché c’è una notevole corruzione e poi perché la povertà è dilagante”.
Quanto è forte l’aspetto pseudo-religioso sul traffico di prostituzione?
“Nel caso della Nigeria è fortissimo. Nelle ragazze nigeriane c’è una forza costrittiva legata ai riti voodoo. In molte occasioni, queste giovani sanno che vengono qui a prostituirsi, mentre in tante altre non lo sanno. In ogni caso, tuttavia, sono consapevoli che devono pagare un prezzo molto alto, quello del viaggio, che si aggira tra i 10 e i 20mila euro. Soldi che devono corrispondere sotto minaccia nei confronti loro e dei loro familiari. E poi prima che partano, spesso vengono loro sottratti degli effetti personali con riti voodoo, magari un ciuffo di capelli o una parte di un abito, facendo loro credere che ciò serva per controllarle a distanza. Non va poi trascurata la figura della maman, la donna che va a prendere queste ragazze direttamente nei campi di prima accoglienza per prendersene carico e costringerle alla prostituzione”.
Ci sono zone a Perugia, ma anche in tanti altri territori d’Italia, in cui la prostituzione è radicata, quasi da sembrare impossibile da smantellare. Come è possibile che ciò avvenga?
“Perché c’è grande disattenzione sul fenomeno della prostituzione. Il retroterra criminale che vi sta dietro viene spesso ignorato, così lo sfruttamento viene visto come un reato minore, con pene relativamente basse, difficilmente repressive dell’ampio fenomeno in questione. E poi c’è una domanda continua e numerosa: sarebbe necessaria maggiore consapevolezza da parte di chi utilizza queste donne sul fatto che così si rende responsabile di queste storie tristi e cariche di sofferenza. Ritengo dunque necessario stroncare la domanda, ma non con mezzi sanzionatori, bensì con la cultura”.
Qual è la percentuale, tra le donne che arrivano in Italia sui barconi, di quelle che finiscono sui marciapiedi? È possibile fare una stima?
“Non è possibile. Tenga però presente che, se parliamo della Nigeria in particolare, è quasi normale che le donne vengano avviate alla prostituzione, anche se spesso viene promesso loro, al termine del viaggio, un lavoro diverso, dignitoso. Per quanto riguarda gli uomini, gran parte di essi, giunti in Italia, sanno già che non avendo altre opportunità lavorative, dovranno unirsi a gruppi criminali oppure dedicarsi all’accattonaggio”.
Dalle intercettazioni utilizzate nell’inchiesta emerge la preoccupazione da parte degli organizzatori che questi traffici possano essere arginati dalla linea del nuovo governo?
“L’indagine non riguarda solo gli ultimi due mesi scarsi in cui è in carica il nuovo governo, riguarda un periodo pregresso, dunque al momento non è possibile fare queste valutazioni. Vedremo in futuro se, in qualche modo, la nuova linea influirà sul fenomeno”.

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Cosa c'è dietro l'immigrazione di massa

di Ilaria Bifarini
Cosa c'è dietro l'immigrazione di massa
Fonte: Interris
Negli ultimi anni l’opinione pubblica europea ha imparato a conoscere e in qualche modo a metabolizzare il fenomeno dell’immigrazione di massa. Frotte di uomini, donne e bambini assiepano scomodi barconi che salpano il mar Mediterraneo fin quando non vengono raggiunti dalle imbarcazioni delle ormai arcinote ong, le quali si assumono il compito di traghettare i migranti sulle coste settentrionali. È questo solo l’ultimo stadio di un processo che inizia nei Paesi d’origine degli immigrati, ma che affonda le radici nei meccanismi finanziari che regolano l’economia globale.
Austerity, debito, maltusianesimo
Del tema se n’è parlato giovedì scorso presso la Sala Teatro della Fondazione Cristo Re, a Roma. Relatori Enzo Pennetta, biologo, docente e scrittore, e Ilaria Bifarini, economista, autrice dei libri Neoliberismo e manipolazione di massa (2017) e I Coloni dell’austerity: Africa, Neoliberismo e migrazioni di massa (2018). È un’analisi dei fatti che parte da lontano quella offerta dalla Bifarini, che si definisce una “bocconiana redenta”, dal nome della prestigiosa università dove ha studiato, la “Bocconi” di Milano, fabbrica dei futuri manager dell’alta finanza.
L’austerity, a suo avviso, e prima ancora il debito, sarebbero le cause scatenanti dell’immigrazione di massa nonché della globalizzazione della povertà. Austerity che, nell’introduzione di Pennetta, troverebbe una correlazione con il maltusianesimo, dottrina economica ispirata all’inglese Thomas Malthus secondo cui la popolazione crescerebbe in maniera superiore alle risorse disponibili. Di qui la necessità, promossa dai seguaci di questa teoria, di ridurre l’assistenza sociale perché essa incentiva la crescita demografica. E proprio i tagli alla spesa pubblica sono il punto di contatto tra Malthus e l’austerity. Continua a leggere

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