Terra Santa: l’acqua non è uguale per tutti

Risultati immagini per Terra SantaSegnalazione del Centro Studi Federici

Palestina assetata
Avere l’acqua corrente in casa nei Territori Palestinesi non è affatto scontato e normale.
Né in Cisgiordania né nella Striscia di Gaza. Per molteplici ragioni. Alcune testimonianze da Betlemme.
 
Osservando il paesaggio nei dintorni di Beit Sahour, centro urbano ad est di Betlemme, le cisterne in cima alle case permettono di distinguere le abitazioni palestinesi dagli edifici che fan parte degli insediamenti ebraici. Lo spiega la gente del posto che ogni giorno fa i conti con il problema della carenza idrica. Le cisterne sulle case servono, infatti, a conservare l’acqua o a raccogliere la pioggia, ma non tutte le abitazioni ne hanno bisogno. In Cisgiordania l’acqua è distribuita in maniera diversa da casa a casa, a distanza di pochi metri l’una dall’altra. Per sopperire ai disagi dell’emergenza idrica, la popolazione si ingegna come può, ma il problema della gestione delle risorse rimane una ferita aperta che non accenna a guarire, anzi è «un ostacolo alla pace», come lo ha definito la Bbc.
Secondo l’Autorità palestinese per l’acqua, il 95 per cento delle riserve idriche palestinesi si trova nelle falde acquifere (sono tre i bacini sotterranei). L’acqua di superficie, di cui teoricamente si potrebbe disporre, proviene invece dalle piene dei wadi (i torrenti stagionali), dall’eventuale desalinizzazione delle acque del Mar Morto e dal fiume Giordano. Nessuna di queste risorse, tuttavia, è di fatto utilizzabile dai palestinesi.

Continua a leggere

Condividi

1948 – 2018: la catastrofe del popolo palestinese

Segnalazione del Centro Studi Federici

Vita da profughi, la storia di Hejar e della sua famiglia
 
In questi giorni in Terra Santa, gli israeliani hanno celebrato l’indipendenza e i palestinesi la propria tragedia nazionale, che rileggiamo con gli occhi di Hejar Zghari, profuga a Betlemme.
 
Un cassonetto brucia, riempiendo l’aria d’un odore aspro. È un giovedì mattina e per le vie strette del campo profughi di Dheisha, alle porte di Betlemme, non c’è quasi nessuno. Hejar Zghari ci apre le porte della sua casa, circondata da altre costruzioni in cemento del campo, popolato da 15 mila rifugiati palestinesi.
 
Hejar ha 67 anni («Sono la prima nata della mia famiglia nel campo»), data alla luce in diaspora e cresciuta da profuga. Qui si è diplomata, si è sposata ed è diventata infermiera, mamma e nonna. Si presenta vestita con gli abiti tradizionali e un piatto di frutta: Racconta: «Sono originaria di Zakaria, tra Ramle e Hebron: il nostro era un villaggio di contadini, c’erano olivi, campi coltivati a cereali e frutteti. Lì sono nati i miei cinque fratelli. Mia madre e mio padre avevano una bella casa, tanti animali, conigli, pecore, capre. Quando arrivarono i sionisti furono cacciati via dal villaggio. Gli adolescenti e i giovani fino a 30-35 anni vennero fatti prigionieri. Molti di loro furono uccisi, anche una donna incinta fu assassinata. Il resto del villaggio, poco più di 1.500 persone, ne restò terrorizzato: scapparono tutti».

Continua a leggere

Condividi

L’ambasciata della morte

di Niccolò Inturrisi
L’ambasciata della morte
Fonte: L’intellettuale dissidente
Dopo i mesi passati tra le polemiche e gli scherni, nella giornata del settantesimo anniversario della nascita dello Stato di Israele si è tenuta l’inaugurazione ufficiale della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme. Tuttavia, quella che il presidente americano aveva dichiarato ingenuamente come una giornata dedicata alla speranza di una “pace” si è risolta, come era prevedibile, in un massacro da parte di militari israeliani a discapito della popolazione civile palestinese. Non vogliamo solo soffermarci sui quasi 2000 feriti e oltre 50 morti ammazzati dalle pallottole israeliane – impacchettate, spedite e vendute direttamente da quello stesso paese che si crede baluardo della sopravvivenza della democrazia del mondo – per sottolineare una situazione oscena e deplorevole che nessun paese europeo si degna di condannare con la dovuta attenzione. È proprio questa mancanza di coerenza, non solo mediatica, ma sinceramente politica, che lascia esterrefatti chi (come tutti noi) ha assistito nell’arco degli ultimi vent’anni a un vero e proprio diktat da parte del governo di Israele: il predominio non solo politico ed economico, ma soprattutto sociale e culturale rispetto ad una popolazione che si è vista usurpare la propria terra natia, costretto a vivere in una striscia di terra e, non abbastanza umiliati, denigrati e lasciati a loro stessi da parte delle grandi potenze mondiali. Continua a leggere

Condividi

Quando il Sionismo si scontra con la realtà

di Stanley L. Cohen*
Quando il Sionismo si scontra con la realtà
Fonte: Comedonchisciotte
“I torti che ci sforziamo di condannare e di punire sono stati così premeditati, così malvagi e così devastanti, che una civiltà non può tollerare che essi vengano ignorati, perché non potrebbe sopravvivere alla loro reiterazione”
Con queste autorevoli parole, Robert H. Jackson, Procuratore Capo per gli Stati Uniti, aveva aperto i lavori del Tribunale per i Crimini di Guerra a Norimberga, Germania, subito dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale.
Incaricato di accertare la colpevolezza di esponenti di spicco dell’esercito, della politica e dell’apparato giudiziario per le violazioni alle leggi internazionali...  comprendenti crimini di guerracrimini contro l’umanitàe contro le leggi di guerra…il tribunale aveva validato il principio della responsabilità personale per il genocidio nei confronti degli Ebrei e di altre etnie, che erano state considerate, dallo stato tedesco, una minaccia alla propria, dichiarata, supremazia razziale, religiosa e politica.
Sebbene questi reati si fossero manifestati in forme diverse, la loro efferatezza derivava, in realtà, da un pensiero collettivo condiviso, che considerava tutti quelli destinati ad essere soppressi dallo stato non solo (esseri) inferiori, ma indegni della vita stessa… uomini, donne e bambini, giovani e vecchi, ridotti a poco più di oggetti di grottesca derisione, la cui sola esistenza contaminava il concetto nazionale di supremazia della razza.
Non ci sono più segreti sulla campagna di terrore scatenata dal Terzo Reich, mentre invadeva nazioni e scatenava una violenza internazionale mai vista prima di allora. Neppure sono mai stati soggette ad un serio dibattito le sue modalità di guerra totale, sia verso i militari, che contro i civili. Anche se qualcuno ha scelto di contestare il numero delle vittime o di rielaborare gli esatti strumenti della persecuzione, nessuno storico serio dubita del ruolo avuto dai carri bestiame, dai ghetti e dai forni crematori nello sforzo cosciente di zittire le diversità della vita, mentre la maggior parte del mondo guardava altrove. Continua a leggere

Condividi

Gaza cristiana


Segnalazione del Centro Studi Federici

Gaza, sarà salvato il più antico monastero della Terra Santa
 
Grazie a fondi internazionali, è stato avviato un piano biennale per restaurare il monastero di sant’Ilarione e la chiesa di Jabaliya, monumenti di epoca bizantina. Con ricadute positive per la società civile palestinese.
 
L’enclave palestinese di Gaza cela un tesoro culturale inestimabile, in particolare cristiano, troppo poco conosciuto e protetto, spesso minacciato dal tempo, eventi climatici, sabbia, negligenza, urbanizzazione incontrollata e conflitti a ripetizione (tre solo nell’ultimo decennio). Poco è mancato perché scomparisse una delle più importanti testimonianze paleocristiane della Terra Santa. A Nuseirat, a una decina di chilometri a sud della città di Gaza, presso le dune costiere, si trova il più antico monastero della Terra Santa, dedicato a sant’Ilarione e risalente al IV secolo.
Gli scavi nel monastero sono iniziati negli anni Novanta e dal 2012 è inserito nella lista del World Monuments Fund dei siti più minacciati al mondo. Anche la chiesa bizantina di Jabaliya, scoperta nel 1996 a pochi chilometri a nord della città di Gaza, rischia la stessa sorte. Luogo di sosta per i pellegrini, è nota per un ricco mosaico, danneggiato durante la guerra del 2012. (…)

Continua a leggere

Condividi