«Maggio ’68», la rivoluzione del nulla

Segnalazione Corrispondenza Romana

di Giovanni Tortelli
Gli eventi della contestazione studentesca che dalle piazze di Parigi a quelle di mezza Europa dettero luogo al «Maggio ‘68» si configurarono come una vera e propria rivoluzione culturale, e come tale essi furono avvertiti. Della rivoluzione culturale il movimento del ’68 ebbe tutte le caratteristiche: la spontaneità, l’effetto sorpresa, l’iniziativa di base e la trasversalità delle rivendicazioni.
Le quali non furono politiche se non molto indirettamente. Furono bensì portatrici di un nuovo ordine deontologico e teleologico in sostituzione di un sistema nel quale il modo di pensare dell’individuo, l’organizzazione della famiglia e delle istituzioni sociali erano ancora impostati sui principi di una gerarchia e di un’autorità di diritto naturale, principi che vennero definitivamente, se non proprio del tutto improvvisamente, delegittimati.
Beninteso. Nessuna forza delegittimante – tantomeno la contestazione sessantottesca – avrebbe potuto aver fortuna contro archetipi di diritto naturale così impliciti nell’uomo e radicati nel suo stile di vita e nella sua fede come la famiglia, le istituzioni e l’intero ordine sociale inclusa la Chiesa, se non si fosse a suo tempo già proceduto contro di essi a colpi di giacobinismo prima e di modernismo poi.   Continua a leggere

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"Christus Rex": libertà di espressione o dittatura gender?


IL PUNTO
di Giacomo Bergamaschi, del Circolo “Christus Rex – Traditio” (foto in alto dei relatori al convegno LGBT di ieri  a Villa Buri, VR. Tutti i diritti riservati.)
Una esigua minoranza della popolazione (LGBTTI), le cui tendenze sessuali sono devianti rispetto a quelle della stragrande maggioranza, è riuscita a far sì che i propri interessi si trasformassero nel tema dominante di una rivoluzione culturale globale. Tutto ciò è sorprendente, perché la realizzazione di questi interessi non contribuisce alla soluzione dei problemi esistenziali della società nel suo insieme ma anzi li amplifica, portando alla disintegrazione delle famiglie e alla crisi demografica. La nuova etica sessuale, che pone l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità e il trasngenderismo sullo stesso piano dell’eterosessualità, è divenuta ormai parte integrante della pedagogia nelle scuole di ogni ordine e grado. La Sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 26 giugno 2015 sul matrimonio tra persone dello stesso sesso ha creato scandalo ovunque e molti analisti hanno visto nell’ascesa del trumpismo anche una conseguenza della reazione del popolo Pro-Life rispetto a decisioni giuridiche che calpestano, nel nome dei diritti, il primo diritto: quello alla procreazione e alla Vita. Il Giudice costituzionale Samuel Alito così interpretò quella sentenza del ’15:
“La decisione di oggi usurpa il diritto costituzionale del popolo di decidere se mantenere o modificare la nozione tradizionale di matrimonio…Quando una esigua maggioranza di giudici può inventare un nuovo diritto e imporre quel diritto a tutta la nazione, l’unico vero limite dato alle future maggioranze sarà la loro stessa opinione riguardo a ciò che i detentori del potere politico e culturale saranno disposti a tollerare”. Continua a leggere

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Israele e la sovversione di ogni equilibrio internazionale

di Paolo Sensini
Israele e la sovversione di ogni equilibrio internazionale
Fonte: Paolo Sensini
Israele si conferma ancora una volta tra i maggiori vettori d’instabilità del Vicino e Medio Oriente: non solo ha sostenuto i tagliagole jihadisti di al-Nusra (al-Qa’ida in Siria) sulle Alture del Golan per propri calcoli strategici, ma effettua centinaia di attacchi missilistici e provocazioni contro i vicini siriani fin dagl esordi della cosiddetta Primavera Araba nel 2011. L’ultimo dei quali fatto l’8 maggio con lancio di missili contro una base siriana alla perferia Sud di Damasco. Adesso però che in Siria i suoi piani per sovvertire il regime di Assad si sono infranti contro il muro, Israele vuole a tutti i costi riaprire un altro fronte di guerra contro l’Iran. Con quali motivi? Semplice, perché come ha illustrato il premier Netanyahu la repubblica islamica starebbe portando avanti un programma di sviluppo atomico. Ma non c’è alcuna prova concreta a suffragio di questa tesi, salvo un certo numero di materiali trafugati dal Mossad in un deposito governativo iraniano risalenti al periodo 1999-2003. Così un eventuale attacco militare al Paese degli Ayatollah avrebbe buone probabilità di rivelarsi come una nuova edizione di quanto successo con le armi di distruzione di massa in Iraq. Da questo punto di vista la decisione unilaterale del presidente Trump di chiudere l’accordo internazionale sul nucleare iraniano, che peraltro non ha mai comportato la fine delle sanzioni contro la Repubblica islamica da parte degli Stati Uniti, è un suggello della manovra israeliana. Nel bel mezzo di questa sarabanda politico-mediatica che minaccia di trascinare il mondo nel baratro, c’è tuttavia un non-detto che i Paesi occidentali, ma anche gli alleati islamici d’Israele nella regione come l’Arabia Saudita, non si sognano certamente di denunciare: ossia che lo Stato ebraico si è costruito nei decenni passati un arsenale atomico di circa 250 testate nucleari, il tutto nel silenzio più assoluto e senza permettere che i suoi laboratori venissero mai ispezionati da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEIA). Ma il problema sono sempre gli arsenali degli “altri”, senza peraltro neppure uno straccio di prova concreta, mai quelli in possesso degli israeliani. Insomma l’ennesimo siparietto in cui il bue dice cornuto all’asino. Ma a forza di giocare col fuoco, può capitare di rimanere bruciati. E, a ben guardare, non ci siamo poi così lontani. Continua a leggere

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