LE DOMANDE CHE CI PONIAMO TUTTI IN VISTA DELLE EUROPEE
Il primo: dove è finita la destra sociale? Di destre nazionali ci sono vistose tracce, soprattutto perché si conoscono le posizioni di Fratelli d’Italia e della Lega salviniana sui flussi migratori e i diktat dell’Europa. Ma non si vede traccia di quella destra sociale che fu la peculiarità della destra e la sua linea di distinzione dal liberismo e dalla destra liberale. Sarà stata la lavatrice berlusconiana, sarà stato l’infelice esito finiano e dell’omonima corrente, ma oggi la destra sociale non si vede, neanche sotto altro nome.
Seconda domanda: ma la destra in quanto nazionale è antieuropea, a favore dell’italexit oppure no? La destra da cui siamo partiti è sempre stata nazionale ma non è mai stata anti-europea, semmai lo è diventata da quando l’Europa si è ridotta alla Ue. Ha creduto all’Europa nazione o ha accolto l’idea di De Gaulle di un’Europa delle Patrie, ma non ha più pensato in termini di nazionalismo introverso e chiuso. Il tema forte per una destra del futuro sarà salvare l’Europa dagli europeisti; i tecnici, eurocrati, i piùeuropeisti. Una destra vera deve perorare la sovranità nazionale dentro la sovranità europea, richiamare l’Europa come civiltà e come risposta al mondo globalizzato.
Terzo dilemma: dove si colloca in un’Europa del genere nello scenario europeo, a quale famiglia dovrebbe sentirsi più vicina? La novità degli ultimi tempi è la scelta conservatrice di Fratelli d’Italia. Una scelta compatibile con la storia e la vocazione della destra, anche se il tratto proprio della destra nazionale e sociale italiana è sempre stato piuttosto quello di rappresentare la rivoluzione conservatrice e non un partito conservatore tout court. Sapendo che i conservatori, almeno come sono delineati nel mondo anglosassone, sono liberali e patrioti, liberisti e tradizionalisti. Ma la scelta funziona, almeno per ritagliare uno spazio “terzo” a FdI tra i popolari, in cui c’è ancora mal sopportato Orban e c’è pure Berlusconi, oltre la Merkel e compagnia centrista, e il gruppo populista-sovranista in cui sarà trainante la Lega. Proporsi come trait-d’union tra le due aree è una scelta giusta. Pur sapendo che l’opzione conservatrice non interpreta l’anima profonda e la storia politica della destra italiana, vorrei dire: avessimo un movimento conservatore forte e affidabile in Italia, con figure di riferimento e di qualità e battaglie incisive per conservare l’identità e la tradizione di una civiltà e rispondere col realismo attivo dei conservatori alle emergenze del nostro tempo…
Ma qui entriamo in un altro dilemma, il quarto, strettamente collegato al terzo: il rapporto tra questa scelta conservatrice e la leadership mondiale di Donald Trump. Come è noto, al congresso mondiale conservatore tenuto sotto l’egida trumpiana negli States, c’è andata la Meloni, che ha orgogliosamente sbandierato di essere stata l’unico esponente italiano a parteciparvi. Ma la destra può riconoscersi in Trump (o in Bolsonaro, se parliamo dell’America Latina)? A noi Trump piace per negazione: ossia perché è la bestia nera dell’establishment politically correct, e apprezziamo alcuni aspetti della sua politica nazionale e protezionista. Ma da qui a farne il leader della destra mondiale ce ne corre. Non ci piace la sua figura, il suo percorso, il suo modo di porsi, la sua politica estera, pur riconoscendo i grandi risultati nell’economia.
Invece serpeggia un’opzione più radicale nel mondo proveniente da destra: è l’opzione Putin, che è il più grande statista sorto nel Terzo Millennio e si presenta come difensore di una Tradizione, di un’identità e di una sovranità. Anche qui alcune riserve vanno fatte sulla provenienza di Putin, sul suo spregiudicato potere di autocrate, sulle tracce cospicue d’imperialismo sovietico, sulle inevitabili differenze tra la Russia e noi mediterranei, italiani ed europei. Ma è anche vero che una scelta geopolitica eurasiatica, come la disegna Alexandr Dugin, non è certo più alienante di un’opzione atlantica. Tanto più che oggi i nostri interessi geostrategici ed economici sono duramente penalizzati dai diktat americani, dalle loro sanzioni a paesi come la stessa Russia, l’Iran e altri minori. E sono più compatibili con quelli russi. E Putin è forse lo statista più lucido in questa fase storica.
Capisco quanto sia difficile esplicitare, con la campagna denigratoria e allarmistica che subito scatterebbe, un’apertura alla Russia di Putin piuttosto che all’America di Trump. Ma è la vocazione più forte nell’anima profonda della destra sociale, tradizionale, nazionale e popolare o della sua eredità. Anche sul piano culturale e spirituale è più compatibile l’incontro col mondo greco-russo e ortodosso che col mondo protestante e quacchero anglo-americano. Così come è più compatibile nel nome della visione spirituale, l’incontro con l’Iran sciita piuttosto che con l’Arabia saudita e sunnita, più vicina a Trump (e a Daesh, all’Isis).
In questo contesto Salvini oscilla pragmaticamente tra la vicinanza a Putin – denunciata come uno scandalo e un tradimento dalla stampa e dalla sinistra – e l’allineamento a Trump e a Israele. A proposito di Israele va notata una curiosità: il nazionalismo e il sovranismo sono deprecati ovunque dall’establishment globale meno che nel paese più nazionalista e sovranista sulla faccia della terra, che è proprio Israele, e ancor più l’Israele di Netanyau.
Alla fine vi lasciamo con una domanda dall’apparenza marzullesca: ma la destra esiste anche se non appare o la destra appare soltanto ma non esiste più?
MV, Il Borghese, marzo 2019
fonte – http://www.marcelloveneziani.com/articoli/dove-si-e-cacciata-la-destra/