Inaccettabile copertina de L'Espresso che sputa sui morti

Roma, 12 gen – Chiunque abbia minimamente studiato la storia dei «cuori neri» degli anni Settanta sa bene come la particolarità di quelle morti non stia nel fatto che, all’epoca, si perdesse la vita solo militando nei ranghi della destra. Ai cuori neri, infatti, fanno da contraltare i cuori rossi, le cui madri non hanno certo versato meno lacrime. C’è, però, una differenza cruciale, fra le storie dei caduti rossi e neri degli anni Settanta: attorno alle tragedie dei secondi si attivò un meccanismo giustificatorio del tutto sconosciuto alle uccisioni dei primi. In nessun consiglio comunale dell’epoca risuonò un applauso per la morte di un caduto rosso, come invece accadde a Milano quando si diffuse la notizia del decesso di Sergio Ramelli. In nessuna villa di Fregene il jet set culturale dell’epoca pasteggiò a champagne per la scarcerazione di qualche stragista nero, come invece capitò nella villa di Moravia quando liberarono i massacratori di Primavalle. I Nar non furono mai «sedicenti», come invece, in molte redazioni, vennero definite le Brigate rosse. Sui giornali dell’epoca, i comunisti non morivano mai per autocombustione o per «faida interna», come invece succedeva regolarmente ai neri. Uccisi una volta, dal piombo delle pistole. Due volte, dal piombo dei caratteri tipografici, dai giornali, e non solo quelli estremisti, che relativizzavano, insinuavano, sminuivanoTre volte, da una giustizia che spesso non arriverà maiQuattro volte, dal tentativo di processarne persino il ricordo.


Perché parliamo di tutto questo oggi che quelle tragedie sono lontane e sbiadite? Perché se il numero delle mani disposte a premere grilletti verso nemici ideologici è fortunatamente diminuito in modo drastico, gli ingranaggi del meccanismo giustificatorio e lo sterminazionismo ideologico che lo oliava sembrano avere ancora una certa vitalità. La blasfemia rivoltante che trasuda dalla copertina dell’ultimo numero dell’Espresso basterebbe da sola ad annullare qualsiasi «restiamo umani», ad annichilire ogni velleità di catechesi umanitaria da parte di simili soggetti. Fasci protetti, recita il titolo. E, sullo sfondo, la porta della sezione di Acca Larentia. «Fasci protetti», sulle immagini di quel muro che, come nessun altro, ha visto quanto i fasci non fossero protetti da nessuno, ammazzati come cani dai comunisti e dalle forze dell’ordine, con i giornalisti che arrivavano e spegnevano le sigarette nelle pozze di sangue.

Fasci protetti, dice il settimanale dei De Benedetti. Protetti. I fasci. Si riferiscono, come è ovvio, alla presunta aggressione del Verano. Quella, per capirci, senza uno straccio di prova. Ma, per costruire questo monumento al proprio vittimismo e rilanciare la narrazione paranoica sul pericolo fascista alle porte, decidono scientemente di torturare una ferita storica mai rimarginata. Si tratta di una provocazione deliberata: per quanto sprovvisti in proprio di senso del sacro, sono abbastanza scafati da saper riconoscere quello altrui, quando c’è da profanarlo. E lanciano un messaggio: forse non c’è più nessuno, oggi, che abbia le palle per far scorrere ancora il sangue dei nemici politici, ma si troverà sempre qualcuno pronto a spegnere le sigarette nelle pozze che restano.
Adriano Scianca
Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/politica/espresso-fasci-protetti-100834/

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